Un imprenditore cinese sfruttava connazionali in una fabbrica dormitorio con gravi violazioni.

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Un caso di sfruttamento lavorativo inaccettabile
Recentemente, il Nucleo Operativo del Gruppo Carabinieri per la Tutela del Lavoro di Milano ha arrestato un cittadino cinese, accusato di essere l’amministratore di fatto di un’azienda di confezionamento abbigliamento. L’indagine ha rivelato un caso di caporalato, in cui l’imprenditore sfruttava dieci connazionali, sei dei quali lavoravano in nero e cinque erano privi di permesso di soggiorno. Questa situazione ha sollevato interrogativi sulle condizioni di lavoro e sui diritti dei lavoratori stranieri in Italia.
Condizioni di lavoro disumane
Le indagini condotte nello stabilimento hanno messo in luce una realtà allarmante: i dipendenti erano sottopagati e costretti a lavorare fino a 90 ore settimanali, ricevendo solo 4 euro l’ora. Non solo, ma gli operai non avevano accesso a riposi settimanali, formazione professionale adeguata e sorveglianza sanitaria. Le condizioni igienico-sanitarie erano deplorevoli, con i lavoratori costretti a dormire in locali abusivi all’interno della fabbrica, trasformata in una sorta di dormitorio.
Denuncia e arresto
Il controllo delle forze dell’ordine è scaturito da una denuncia presentata alla Procura della Repubblica di Milano da un lavoratore esasperato dalle continue vessazioni e dallo sfruttamento. La situazione è degenerata quando il datore di lavoro ha aggredito fisicamente il dipendente, causando lesioni con prognosi di 45 giorni. Le testimonianze dei lavoratori, in uno stato di bisogno, hanno permesso di identificare il reale responsabile, che aveva tentato di nascondere le proprie responsabilità intestando la società al figlio.
Gravi violazioni e sanzioni
In seguito all’arresto, l’imprenditore è stato accusato di caporalato e sono state adottate misure severe contro l’attività imprenditoriale, inclusa la sospensione per gravi violazioni in materia di salute e sicurezza. Le sanzioni ammontano a 95mila euro, con ulteriori ammende di 39.200 euro. Questo caso evidenzia l’urgenza di combattere lo sfruttamento lavorativo e garantire diritti fondamentali a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro nazionalità.