Federico Leoni, originario di Roma, si è trovato a doversi trasferire a Milano per seguire la propria carriera lavorativa facendo i conti con una nuova città dai ritmi totalmente differente che lo ha però accolto facendolo subito sentire a casa, come raccontato nell’intervista per la rubrica Bella Milano.
Da Roma a Milano come ci sei arrivato?
Era il 2017 e io lavoravo a Sky Tg24 già da molti anni. L’azienda ha deciso di trasferire la sede. Non è stato un trasloco del tutto esente da traumi, come spesso accade quando si fanno i conti con una scelta non completamente tua. A volte, però, gli imprevisti sono proprio ciò che ti fa scoprire cose che non immaginavi, che ti fa guardare dove altrimenti non avresti guardato.
Ogni volta che parlo del mio arrivo a Milano specifico sempre che gli aspetti negativi sono legati alla nostalgia per Roma, alla quale sono molto legato, e non alla difficoltà di ambientarmi in questa città: Milano è accogliente, te ne accorgi quando entri in un bar e senti tanti dialetti diversi. Milano, in qualche modo, è la città di tutti, il che è un bene quando significa che tutti la trattano con la cura che si riserva a ciò che ci appartiene, e rischia di trasformarsi in un male se essere di tutti dovesse diventare l’equivalente di non appartenere a nessuno.
Per ora siamo nella prima ipotesi, fortunatamente.
Hai avuto una sorta di jet lag o ti sei ambientato in fretta e che differenze sostanziali o peculiari hai trovato ?
Mi sono ambientato in fretta. Milano è una città “facile”, se vieni da Roma: più piccola, più gestibile, ben collegata, ben servita. Mi piace camminare e andare in bici, a Milano si può fare (a parte il rischio di ammazzarsi tra pavè e rotaie del tram).
Osservare le cose da vicino ti dà la possibilità di smontare i luoghi comuni, ed è stata la parte più divertente: i milanesi parcheggiano peggio dei romani, contrariamente a quanto si crede, ma sono generalmente più alla mano; Roma è più frenetica di Milano, e più piovosa, ma il cielo è più azzurro.
Raccontaci in cosa consiste il tuo lavoro a Sky?
Sono Caporedattore all’Ufficio Centrale di Sky Tg24, che è a diretto riporto della Direzione.
Io e i miei colleghi coordiniamo e supervisioniamo il telegiornale. A parte questo, che è il mio compito principale e che mi impone un impegno trasversale rispetto alle varie materie, ho un interesse particolare per la politica e la cultura statunitensi. Seguo le presidenziali americane dal 2008, e sono stati anni particolarmente interessanti, considerando che ci hanno portato da Obama a Trump. L’ambiente è un altro dei temi di cui mi occupo con una certa frequenza; in passato ho curato progetti legati alle infografiche di Sky Tg24, spesso metto le mani su progetti speciali e recentemente ho organizzato il lancio dei podcast.
Diversificare rende le cose più difficili, ma anche più interessanti: se fosse facile non sarebbe divertente.
So che inoltre scrivi e sei un surfer, vuoi raccontarcelo?
Sono il coautore di una biografica di John McCain, lo sfidante di Obama nel 2008. Inoltre ho pubblicato un romanzo che si intitola Starry Night. Scrivere per la televisione è stimolante, ma spesso ti manca il respiro di uno stile più ampio, possibile solo sulla carta.
Cerco di supplire a questa mancanza scrivendo, quando capita l’occasione, su magazine e siti, e lo faccio cercando di occuparmi di ciò che mi appassiona e che fatica a trovare spazio sui media mainstream. Il surf, per esempio. È incredibile quanto siano profonde e interessanti la storia e la cultura del surf: basta dare un’occhiata all’Enciclopedia del Surf di Matt Warshaw, per capirlo. Anche se i surfisti nel mondo sono relativamente pochi il surf ha anticipato molte tendenze che hanno poi contagiato anche chi non ha mai visto una tavola: è successo nella musica, nella moda, nella letteratura, persino nella politica.
Una delle prime cose che ti insegnano quando impari a surfare è guardare bene davanti a te, nella direzione in cui vuoi andare. La tavola tende a dirigersi verso il punto che lo sguardo le indica: ecco perché i surfisti sono così bravi a leggere il futuro. Per quanto riguarda il mio essere un surfista fatico persino a definirmi tale. In genere mi definisco un eterno principiante. Ho iniziato a fare surf durante il liceo, poi ho smesso a poco più di vent’anni, quando ho iniziato a lavorare.
Non ho mai smesso di pensarci, però. Il surf non ti permette di dimenticarlo, è un amante che non si fa lasciare. Vivi la tua vita e a un livello inconscio senti le onde frangere da qualche parte nel mondo e in un punto insondabile all’interno della tua mente. Se puoi, ci torni. Io l’ho fatto a più di trent’anni, con la goffaggine di un eterno principiante, appunto. Sono convinto però che per capire il vero spirito del surf devi avere qualche annetto.
Certi tramonti in acqua, il sale sulla pelle, un pesce che ti salta davanti agli occhi mentre aspetti un’onda: devi aver vissuto un po’ per apprezzare doni come questi.
A quanto pare Milano dopo l’emergenza lockdown è cambiata , il centro e semi deserto mentre la vita sembra essere tornata fuori dal centro ed inoltre molte attività sono in crisi a causa del lavoro in remoto e a quanto pare molte case sono sfitte o invendute.
Mi piacerebbe avere un tuo parere sul futuro più prossimo di Milano.
Tim Marshall, che è un esperto del legame tra politica, potere e geografia, sostiene che la così detta “nuova normalità” sarà molto simile alla vecchia. Sono abbastanza d’accordo. Non credo che le nostre vite saranno stravolte dalla pandemia, nel medio-lungo periodo. Le città hanno avuto un ruolo centrale nello sviluppo dell’umanità, almeno dal Rinascimento in poi, e questo ruolo non può cambiare dal giorno alla notte.
Detto ciò ci sono tendenze che si stavano sviluppando già da prima dell’emergenza e che il virus ha accelerato: lo smart working, per esempio. Le nostre città, dunque anche Milano, cambieranno, ma non credo che il loro ruolo muterà. Qualcuno ci rimetterà, qualcuno ci guadagnerà: succede sempre quando ci sono dei cambiamenti. Un trauma può anche avere risvolti positivi, può spingere le persone a concentrarsi sulle cose fondamentali lasciando perdere ciò che è superfluo.
Milano, che ha molti pregi, negli ultimi tempi secondo me aveva iniziato a badare un po’ troppo al fumo e un po’ meno all’arrosto. Vicino a casa mia c’è quella che a tutti gli effetti è una polleria (per restare nella metafora): sull’insegna c’è scritto “Chicken Experience”. Se dopo la pandemia torneremo a chiamarla per quello che è, cioè una rosticceria, penso che ci guadagneremo tutti.
Leggi anche la precedente intervista della rubrica Bella Milano