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Fuga dalla Città, come la pandemia ha trasformato Milano

L'autore di Fuga dalla Città, Fabio Massa, ci ha raccontato qualcosa in più di una Milano in bilico tra la pandemia e le incertezze del domani.

fuga dalla città
fuga dalla città

Milano è stata profondamente cambiata dalla pandemia e dal Covid. Sono tante le differenze che si scontrano nella Milano di ieri e di oggi e Fuga dalla città, come raccontato dallo stesso autore, si pone proprio l’obiettivo di raccontare il cambiamento improvviso e repentino di una città che stava vivendo il suo massimo splendore e si è ritrovata all’improvviso vuota e silenziosa.

Fuga dalla Città: l’intervista a Fabio Massa

Com’è nata l’idea di questo libro, e da dove arriva un titolo?

Il libro nasce come idea insieme alla casa editrice 14 mesi fa, e inizialmente il titolo doveva essere La città degli eletti: un titolo che serviva per raccontare il potere della Milano indubbiamente all’apice del suo splendore, invidiata dal resto di Italia, città più vicina all’Europa, con un’economia che ormai aveva ripreso a girare fortemente. E quindi doveva essere un po’ il racconto del potere – tra politica e imprenditoria – che produce e si sviluppa a Milano.

Ho finito di scrivere il libro a febbraio 2020, mese in cui ha inizio la pandemia, cambia tutto. Cambia l’Italia, cambia Milano, ma soprattutto la percezione di Milano in Italia perché sono giunte una serie di complessità. Allora abbiamo deciso di buttare via il libro precedente e ho ripreso dall’inizio il ragionamento: ho dunque riscritto il libro con il titolo Fuga dalla città.

Nelle prime pagine introduttive si legge che Fuga dalla città è l’insieme di vari aspetti. Le immagini delle persone che scendono gli scalini della Stazione Centrale per cercare di scappare via dalla città e dalla zona rossa sembrano incredibili, e rappresentano una vera e propria fuga. C’è poi la fuga più lenta e dannosa di coloro che per lo smart-working sono a lavorare a casa, e molti di loro non abitano proprio a Milano ma nelle zone limitrofe o in provincia. E infine c’è la fuga dall’idea della città splendente e attrattiva, quella in cui arrivano milioni di turisti ogni anno.

La domanda è allora questa: esiste un’alternativa a Milano? Nella stessa introduzione si legge che no, non esiste un’alternativa a Milano. Si può anche fuggire, ma se si vuole vivere in una città con le caratteristiche di Milano oggi in Italia si può andare solo lì. Ovviamente, questo non vuol dire che la città non debba essere pesantemente ripensata.

Sì, in effetti la città si è svuotata di netto la primavera scorsa, ma ancora adesso non si può dire sia la Milano di prima. Quali potrebbero essere le prospettive dal tuo punto di vista, anche strettamente personale?

Io ho fatto un’analisi che si basa su una serie di tematiche differenti. Le prospettive sono tutte da vedere, c’è da capire come si evolverà la pandemia e questo chiaramente non è ancora noto. Non si tornerà alla città di prima, questo è ovvio. Ma cosa andare a fare dipende da un dibattito pubblico e politico, e il libro nasce proprio per questo motivo.

Come si esce da questa pandemia, allora? Questo dipende anche dal come pensi alla città nei prossimi mesi. Ad esempio: per lo sport milanese, nazionale e internazionale, non è irrilevante decidere di rifare lo stadio di San Siro. Eppure non se ne parla più. Per fare quel progetto occorre che si prendano delle decisioni, ma non c’è più dibattito pubblico su questo! O ancora, Milano vuole essere nel futuro la città dei diritti? Sicuramente, è sempre stata avanzata sotto questo punto di vista: eppure, durante la pandemia i rider sono stati dei veri e propri schiavi, ci servivano. Fin quando un giudice, Fabio Roia, fa una sentenza epocale e attribuisce ai rider dei diritti.

Un altro tema è la cultura. Quando vado ad analizzare tutti i bilanci cosa scopro? Che La Scala, Il Piccolo ricevono tanti finanziamenti pubblici – La Scala ha ricevuto oltre un miliardo di euro di fondi pubblici – ma ci sono decine e decine di orchestre, piccole compagnie e tanto altro, che se non verranno sostenute da un intervento pubblico fortissimo moriranno. Come usciremo dalla pandemia, allora, con una Milano senza cultura? Spero di no, ma bisogna pensarci. Infine, c’è una questione tutta politica: Milano ha sempre pensato di fare un po’ tutto da sè, ma questa cosa adesso non è più possibile. Perché? Perchè Milano ha bisogno dell’Italia, deve rimboccarsi le maniche ed essere anche un po’ più umile.

Pensando al modello Milano penso a quando, all’inizio della pandemia, si osannava la sanità lombarda rispetto a quella di altre zone d’Italia, soprattutto del sud. Oggi, un anno dopo, siamo di fatto di fronte ad una situazione che interessa l’Italia intera. Cosa è successo?

Beh, il virus ha dimostrato che non gli interessa molto chi governa ma colpisce dove colpisce. Ma al di là di questo, nel libro sottolineo un po’ il fatto che durante la pandemia, per via della prosopopea di Milano e dell’invidia di altri luoghi, si è generato un vero e proprio odio verso il capoluogo lombardo. Anche De Bortoli lo ha confermato, si tratta di un odio che in generale Milano si porta dietro, resistono i luoghi comuni per cui i suoi cittadini “pensano solo a lavorare”, poi ci sono stati gli insulti di De Luca, e tanto altro ancora ha fatto capire che esiste un solco tra Nord e Sud, ma è chiaro come questa cosa vada risolta perché il Nord non può vivere senza il Sud e il Sud non può vivere senza il Nord. Siamo un solo Paese ma la pandemia ci ha fatto rendere conto di quanto siamo lontani.

Col senno di poi, cosa potrebbe non aver funzionato in Italia rispetto ad altri Paesi?

Nel primo capitolo del libro parlo della sanità lombarda, per me “tutto il contrario di tutto”. In tanti parlano della sanità lombarda come di un esempio di eccellenza, che affonda le sue radici nel 700, e come di un vero e proprio modello nazionale. Tuttavia, ci siamo resi conto che la sanità di eccellenza non si sposa con la sanità di emergenza, richiesta durante la pandemia. Si può avere la migliore spedalizzazione, ma quando serve una struttura molto territoriale per combattere un virus come questo si nota la falla nel sistema, che potrebbe risalire alla cosiddetta legge 23 introdotta da parte di Roberto Maroni, con cui si rompe qualcosa e la sanità territoriale viene “ospedalizzata”. Questo processo però non ha funzionato e ci siamo ritrovati nel momento del bisogno all’interno di un incubo perfetto.

Anche a livello politico e amministrativo qualcosa non ha funzionato: regioni e comuni non sono stati in grado di affrontare la situazione, e si è creata una guerra politica tra Regioni e Stato, Stato e Regioni, Comuni contro Regioni e viceversa. È stato un periodo molto difficile. Per il mio libro ho inserito alla fine di ogni capitolo un’intervista fatta a una persona che ha avuto un ruolo importante durante questi mesi e che potesse arricchire la mia narrazione. Per il primo capitolo dedicato alla sanità ho intervistato il governatore Attilio Fontana. C’è poi un’intervista a Giuseppe Guzzetti, ex presidente di Fondazione Cariplo, Stefano Boeri, per la parte dell’urbanistica, Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico e infine il sindaco di Milano Beppe Sala.

Siamo entrati in questa pandemia con il governatore che si mette la mascherina in diretta mondiale, uscito sulla prima pagina del NY Times, e con le chiusure e riaperture alternate. Quelli che non volevano chiudere all’inizio hanno poi dimostrato di voler chiudere più di tutti, e lo stesso Fontana ha ammesso l’errore di aver aperto i bar dopo le 18 perché convinto che si stesse andando verso un miglioramento, e non era l’unico a pensarlo.

Quando Sala, Fontana, mi dicono che hanno dei tecnici – virologi, primari – che devono dargli delle indicazioni e manifestano la loro difficoltà nel prendere decisioni in merito a una pandemia, se a consigliarli non sono proprio questi tecnici, mi rendo conto che la confusione iniziale si crea facilmente. Il problema si aggrava quando a questa confusione si aggiunge quella politica, e confusione su confusione crea danni enormi.

Pensando alla Milano del domani mi vengono in mente due eventi importanti: uno, a cortissimo raggio, sono le Comunali e l’altro, a più lungo raggio, le Olimpiadi del 2026. Inevitabilmente ci saranno delle conseguenze su questi eventi, e Milano non tornerà più quella di prima, ma quali potrebbero essere queste conseguenze?

Il 2026 è un po’ troppo lontano quindi non saprei dire cosa succederà. Potrebbero verificarsi due cose diametralmente diverse: la prima è che manteniamo una parte di virtuale nelle nostre relazioni umane, oppure potremmo decidere se prediligere le attività di socialità proprio perché non siamo riusciti a viverle per un anno. Ma è difficile da dire. Mi permetto però di ricordare che quest’anno ci sono ben tre appuntamenti. Quest’anno si sceglie il nuovo sindaco, si sceglie poi il nuovo presidente di AssoLombarda, che per la Milano industriale conta tantissimo e si sceglie infine il nuovo capo della Procura di Milano.

All’inizio si diceva in tutta Italia e anche a Milano “Questa pandemia ci ha tolto tanto, ma ne usciremo migliori”. Come ne usciranno i milanesi da questa situazione?

Beh, peggiori! Più poveri, e questa non è una cosa irrilevante. In posti in cui la vita costa poco si riesce un po’ meglio a gestire l’assenza o la riduzione delle entrate. Dove la vita costa di più è anche più facile che chi è più fragile veda deteriorare il suo stile di vita in maniera repentina. Studenti, giovani che hanno necessariamente una situazione più debole economicamente rispetto a chi invece può appoggiarsi ai propri risparmi, saranno sicuramente quelli più colpiti dalle difficoltà. Ma la vera crisi probabilmente arriverà quando saranno sbloccati i licenziamenti e le aziende non saranno più “costrette” a tenere persone, che è d’altronde un metodo poco sostenibile e complicato anche per le aziende stesse.

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