Veronese di nascita ma milanese d’adozione, Paolo Bacilieri ha raccontato il suo lavoro e la sua vita tra il Veneto e la Lombardia nell’intervista a Notizie.it | Milano.
Disegnare e/o disegnare e narrare (a seconda del tipo di fumetto e del committente) è un lavoro un po’ solitario che si fa in genere in casa e quindi in un certo qual modo si tratta di smart working?
Sì e no. Sì nel senso che per la gran parte, i fumetti si possono fare e si fanno appunto da/in casa, in “solitaria”. No, perché nel mio caso li facevo in uno studio, il Plancton, tra compagne/i fumettisti, illustratori ecc.
di cui sento molto la mancanza.
Pensi che Milano in qualche modo da quando ci sei venuto ad abitare abbia influito sul tuo mestiere? A livello di segno , di immaginario o in qualche altro modo?
Assolutamente sì. Ci sto da 20anni e più, ho sempre pensato che se è vero che il nostro mestiere si può fare da qualunque posto, casa, stanza d’albergo o roulotte, il posto in cui si vive e si lavora influisce in modo decisivo sulle tavole che facciamo, sulle storie che raccontiamo.
Anche solo le facce che vedi per strada, sul tram o in metro, valgono i soldi dell’affitto di una stanza a Milano. Nel mio caso poi, Milano, una certa Milano, è diventata negli anni sempre più presente nelle mie storie. Non so più quante volte l’ho disegnata, la Torre Velasca!
Da Verona a Milano il passaggio come è stato?
Naturale, e per me molto positivo. Io sono nato a Verona e cresciuto a Molina (anagramma di Milano), un minuscolo villaggio dell’Alta Valpolicella, in una vasta e articolata famigliona veneta. Milano era il posto dove si veniva un paio di volte l’anno, la Domenica, dallo zio dentista che per l’occasione apriva lo studio apposta per noi. Da bambino mi affascinava un sacco, ovviamente, ma era anche un posto potenzialmente pericoloso.
Da adulto direi che Milano mi ha salvato la vita! Qui ho stabilito relazioni durature, ho trovato fiducia, lavoro, amicizie, pur rimanendo in sottofondo un’ “ansia da trapano”. Non so cosa sarebbe stato di me se fossi rimasto in Veneto!
Quali sono stati gli autori che ti hanno più influenzato a livello di segno e di narrazione.
Caro Franz, qui si apre un capitolo enorme, quante sere abbiamo passato al Surfer’s Den a parlare dei fumetti e degli autori preferiti? Limitiamoci ad un parziale elenco: Carl Barks, Al Capp, Mort Walker, Chester Gould, Osamu Tezuka, Magnus, Bonvi, Hergé, Tardi, Hugo Pratt, Guido Crepax, Dino Battaglia, Steve Ditko, Robert Crumb, Corben, Frank Dickens, Grazia Nidasio, Jack Kirby, John Romita senior, Bonelli Ticci, Nolitta Ferri, Berardi Milazzo, Munoz Sampayo, Spiegelman…questo per rimanere ai classici…
Come è la situazione del fumetto in Italia oggi e che consigli dai a chi vi si approccia?
La situazione del fumetto in Italia, come ovunque, è cambiata enormemente rispetto agli anni 80 quando ho cominciato, non so se in meglio o in peggio, certo il panorama è completamente diverso. Di positivo c’è che anche progetti bizzarri, come “Ettore&Fernanda” l’ultimo libro che ho fatto, storia vera di due apparentemente “grigi” burocrati/amministratori, ha potuto vedere la luce.
Non so se sarebbe stato possibile anche solo 20 anni fa… L’unico consiglio che sono in grado di dare è di non accettare consigli, o meglio, sentirli tutti, ma poi ignorarli e perseguire la propria strada.
Come hai trovato cambiata Milano in questi anni e come pensi che cambierà?
Sotto molti aspetti in meglio, non credo siano molti a rimpiangere il figlio della Moratti o quella brutta persona di Decorato, sono state fatte molte cose in questi anni. Impoverita sotto molti altri, quando sono arrivato c’era Sergio Bonelli, Bob Noorda, Umberto Eco, Paolo Poli, Enzo Jannacci, la trimalcionesca Alda Merini, li potevi incontrare per strada. C’era il Plastic, potevi andare al cinema DeAmicis o al President che aveva pure un bellissimo bar interno…tutti andati.
Mi rendo conto che sono discorsi da boomer.
Quando mi sono trasferito qui nel 1998 non era un gran momento per Milano, tutt’altro, Roma, dove avevo vissuto per qualche mese quell’anno, sembrava molto più appetibile, vivibile. L’esatto contrario di questi anni recenti dove Milano sembrava il posto più fico d’Italia e Roma una merda. Poi è arrivata questo Covid19…che ha tolto a Milano e a tutte le grandi città la loro ragione d’essere, Cinema, latterie, trattorie, librerie, bar, ferramenta, tutto chiuso! sono arrivato a rimpiangere il Fuorisalone!
Leggi anche la precedente intervista della rubrica Bella Milano