di Silvia Arosio
Finalmente, il 19 aprile, ho assistito alla Divina Commedia, l'Opera.
Beh, purtroppo non fino in fondo, a causa degli orari balzani del metrò: ultimo da Lampugnano alle 00.02. Peccato che, dopo aver telefonato qualche giorno prima e avere chiesto conferma degli orari, vista anche la concomitante fiera, e dopo essermi scapicollata fuori all'inizio del Paradiso (e meno male che ci sono arrivata!), una vocina allegra all'altoparlante in galleria, abbia annunciato il prolungamento dei passaggi delle carrozze fino all'1.30.
Forse, qualche cartello e qualche annuncio durante la giornata (e non solo a mezzanotte) sarebbe stato meglio.
Ma tant'è, prendiamo i mezzi pubblici come ci consigliano e perdiamo il finale degli spettacoli.
Quindi, prendete con il beneficio del dubbio, data la mancanza del finale, la mia recensione, ma vi prometto che tornerò (e di pomeriggio!) a vedere quest'opera, per avere un quadro completo.
Comunque. Appena entrata al Palasharp (l'ultima volta ci sono stata per Giulietta e Romeo ), ho notato subito un proscenio aggettante: anzi, in pratica metà del palcoscenico circolare irrompeva in platea.
In attesa dell'inizio, ovviamente alle 21.30 e non alle 21 – come ogni prima che si rispetti! -, ho salutato nel pubblico alcuni volti noti, come Gian Marco Schiaretti, uno dei Mercuzio di Giulietta e Romeo e Michel Altieri, sulle scene con Profondo Rosso, il musical. Inoltre, colleghi della stampa come l'addeta stampa di Stefania Fratepietro (con cui spesso ci scambiano le notizie!), Morena Pompignoli e Roberto Mazzone, pubblicista di "Teatro.org".
All'apertura del sipario, comincia una poderosa ouverture e parecchi ballerini escono dai lati del palco, in platea (occhio a dove vi sedete!) e danno vita alla prima pomposa coreografia.
Subito dopo, irrompe, illuminato da un occhio di bue, nel buio della sala, Vittorio Matteucci – Dante, che declama le prime celebri parole dell'opera, quasi che lo stesso pubblico sia la selva oscura in cui si è smarrito, errante.
Errante…l'uomo errante in cerca dell'amore e che "erra" in ogni senso finchè non l'ha trovato.
Bella la prima aria di Dante, sul cui finale appare Virgilio – Lalo Cibelli, maestoso ed imponente, che esclama: "Dici di cercare l'amore e poi torni indietro?".
Qui forse il succo di tutta l'opera di Frisina: l'uomo senza amore è nulla. Ma amore beatifocante, da dolce stil novo, non amore passione abbruttente, come quello di Paolo e Francesca, azzerati da loro stessi, e puniti, ma comunque con un occhio di riguardo: all'inferno, ma nei piani alti e insieme.
Lo spettacolo continua con trovate originali, scenografiche, roboanti, coinvolgenti.
La mano del premio Oscar Carlo Rambaldi, con le figure realizzate da un altro maestro degli effetti speciali come Sergio Stivaletti; le scenografie, ideate da Antonio Mastromattei, che ha creato un grande anello (simbolo del girone dantesco), dal diametro di 18 metri e con una forte pendenza, molto più accentuata di quella solita dei palchi, che ruota su se stesso, e gli schermi mobili che permettono alle anime di girare intorno al monte del Purgatorio; le visionarie proiezioni curate da Paolo Miccichè ed ispirate ai disegni di Gustav Doré (Caronte è proprio quello!); tutto questo è il punto di forza dello spettacolo, che lo avvicina alle opere classiche, quelle wagneriane, realistiche e particolareggiate, nella loro grandiosità: stesso discorso per il numeroso cast, formato da 24 cantanti-attori, 26 ballerini, 10 acrobati e 20 comparse, più musiche registrate da 100 strumentisti della "Roma Sinfonietta".
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