La sfida di Roberto: reinserimento dopo il reato, ma a quale prezzo?

Argomenti trattati
A 25 anni, Roberto ha commesso un reato di insolvenza fraudolenta, dando vita a una situazione surreale. Oggi, a 38 anni, chiede di essere identificato con uno pseudonimo per proteggere la sua vita lavorativa e personale. Ha cercato di ricostruirsi dopo l’errore, ma ora deve affrontare le conseguenze. Dopo un lungo iter giudiziario, la Cassazione il 20 dicembre 2019 ha confermato una condanna di sei mesi di carcere. Recentemente, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha deciso di concedergli l’affidamento in prova ai servizi sociali, una soluzione alternativa al carcere per i reati di minore entità, con l’intento di supportare il suo reinserimento nella società.
La questione dei tempi
Roberto è consapevole dell’obbligo di scontare sei mesi di pena, ma solleva una questione riguardo ai tempi: è sensato imporre misure che limitano la libertà personale a 13 anni dall’atto criminoso e quasi cinque dalla decisione finale? “Non intendo valutare se sia corretto o meno assaporare il prezzo della propria responsabilità – afferma – perché, dopo tre livelli di giudizio, si è giunti al detto ‘oltre ogni ragionevole dubbio’, dunque la pena deve essere scontata. Ciò che mi interroga è se il periodo di affidamento possa davvero considerarsi il metodo più efficace per un reinserimento positivo nella società, dopo così tanto tempo.”
Le limitazioni e le restrizioni
Roberto, residente in un comune dell’area milanese, lavora nel settore sociale e dedica gran parte del suo tempo libero a attività di volontariato. Le limitazioni imposte dal Tribunale, così come altre restrizioni, potrebbero stravolgere la sua vita quotidiana. Questo percorso giuridico è iniziato a causa del mancato pagamento delle rate di un prestito che aveva firmato per i suoi familiari, proprietari di una piccola attività in un periodo di crisi. I debiti si sono accumulati, portando la finanziaria a denunciare la situazione, con il conseguente avvio di un processo per insolvenza fraudolenta che si è tradotto in una condanna a sei mesi di carcere. Questa sentenza è stata poi confermata dalla Corte d’Appello di Milano e successivamente cassata dalla Cassazione nel 2019, che ha definito il ricorso “inammissibile per l’assoluta genericità e la manifestazione infondatezza delle motivazioni” già discusse nei precedenti gradi di giudizio.
Il reinserimento e le restrizioni
La questione è quindi conclusa e ora ci si trova di fronte a una sentenza da affrontare. Tuttavia, dal 2019 c’è stato un prolungato silenzio, in parte dovuto alla pandemia che ha ulteriormente rallentato la gestione di casi privi di urgenza. Recentemente, l’uomo ha ricevuto, inaspettatamente, una comunicazione dal Tribunale di sorveglianza, avendo nel frattempo risolto i suoi problemi legali. Tra i vincoli imposti, il documento evidenzia l’obbligo di rientrare a casa entro le 23, con divieto di uscire fino al mattino seguente, salvo motivi gravi e documentati. Per chi svolge attività nel sociale e si dedica al volontariato, questo divieto risulta complicato. Ulteriori restrizioni includono l’impossibilità di associarsi con individui con precedenti penali, tossicodipendenti o soggetti soggetti a misure alternative e di prevenzione. Inoltre, le forze dell’ordine effettueranno controlli notturni per assicurarsi del rispetto di tali regole, mentre l’impegno in “lavori socialmente utili” dovrà essere concordato con l’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) di Milano, attualmente al centro di tensioni sindacali a causa di una carenza di personale.
Le domande di Roberto
Roberto si interroga su cosa significhi veramente reinserirsi: è davvero un reinserimento autentico avere restrizioni come controlli notturni casuali da parte delle forze dell’ordine? È reale reinserimento evitare la libertà di viaggiare al di fuori della Lombardia, considerando che il mio lavoro richiede spostamenti anche in altre regioni? Inoltre, è giusto dover spiegare continuamente a chi mi sta vicino un capitolo della mia vita che preferirei cancellare? Queste domande, Roberto le rivolge anche al ministro della Giustizia Carlo Nordio. La sua conclusione è amara: sarebbe necessario disporre di risorse sufficienti per presentare un ricorso alla Corte europea dei diritti umani, portando con sé la nostra Costituzione.