Milano – Le discussioni con familiari e collaboratori avvenivano esclusivamente su Telegram e Signal, mentre tentava di sfruttare collegamenti con membri o ex membri delle forze di polizia. Ci furono frequenti tentativi falliti di contattare i magistrati, accompagnati da una serie di “contromisure” per evitare sanzioni dalla magistratura. Durante un incontro a Roma con un ex ufficiale della Guardia di Finanza, noto nelle conversazioni intercettate come “l’amico del generale”, entrambi spensero i propri telefoni. Dopo il 22 febbraio, Gherardo Zaccagni, l’imprenditore attualmente agli arresti domiciliari per la gestione dei parcheggi a San Siro, secondo le accuse, avrebbe attuato diverse strategie per mimetizzare le proprie attività, incluso l’uso di un avvocato tributarista per sistemare le proprie finanze. Inoltre, decise di allontanare, pur continuando a retribuirlo, il suo collaboratore Giuseppe Caminiti, ora detenuto anche per l’omicidio di Fausto Borgioli avvenuto nel 1992, considerato “il punto debole” nella sua rete grazie ai suoi precedenti penali. Zaccagni manifestava l’intenzione di fondare nuove imprese “pulite”, imponendo a familiari e collaboratori di contattarlo esclusivamente tramite applicazioni di messaggistica ritenute “sicure”. Le sue preoccupazioni avevano buone basi, probabilmente legate a una fuga di notizie sulle indagini e articoli di stampa che avevano messo in evidenza il suo ambiente, caratterizzato da ultras e famiglie ‘ndranghetiste, con l’omicidio di Vittorio Boiocchi a far da sfondo. Tra le informazioni riservate che sarebbe riuscito a ottenere dai suoi collegamenti vi era anche una richiesta alla banca per l’accesso ai conti correnti delle sue aziende.
Zaccagni, visibilmente preoccupato, raccontava a Caminiti: “C’è un po’ di ombra, ma non è ciò che cercano”. Caminiti rispondeva che l’interesse maggiore è per possibili legami con la famiglia Bellocco. Da questa premessa è scaturito un intenso e costante tentativo, dettagliato in una modifica alla richiesta di misura presentata dalla Procura, di ottenere informazioni sul procedimento penale in corso. Questo è avvenuto anche mediante incontri e chiamate effettuate con il cellulare spento. Zaccagni ha anche cercato di coinvolgere una persona con un cognato che sarebbe un “ex magistrato”. Inoltre, si è dedicato a contattare Ilda Boccassini, l’ex capo della Dda di Milano, per arrivare al pm Paolo Storari, responsabile dell’inchiesta, attraverso un agente che aveva fatto parte della sua scorta, prima di andare in pensione nel 2019. I pm Paolo Storari e Sara Ombra hanno enfatizzato “tentativi di interagire con figure istituzionali per ottenere informazioni sulle indagini in corso”, denunciando una chiara intenzione di influenzare le scelte investigative tramite le forze dell’ordine, segnali di un serio rischio di inquinamento. Nella rete di contatti figurava anche un ispettore della polizia di Stato (sotto indagine), il quale, su richiesta di Zaccagni, avrebbe avuto accesso ripetuto ai sistemi informatici delle forze dell’ordine. In questo scenario, è emerso anche il ritrovamento di una microspia nell’abitazione di Luca Lucci, il che ha portato il capo ultrà del Milan a cambiare rotta: cessando le attività illecite, ha imposto un profilo di “inabissamento” anche ad altri supporter.