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L'incredibile storia del bar Taveggia, dissanguato da società fantasma

Taveggia, una triste scomparsa. Avevamo già parlato della chiusura dello storico bar (e dello storico marchio), ma ora tutti i nodi stanno venendo al pettine. Riporto un articolo del Corriere che spiega, con dovizia di particolari, l'intera vicenda.

E pensare che nell'aprile del 2007 scrivevo:

Questa foto (quella in apertura) ce l'ha mandata poco fa Leonardo, che ci fornisce anche un spunto i riflessione: da condividere con voi.

Ogni giorno a Milano chiudono tanti piccoli negozi, a volte crollano anche i grandi come lo storico Taveggia. Questa foto è stata scattata oggi alle ore 16,15 giorno lavorativo in pieno centro. La gravità sta nel fatto che con la decimazione dei negozi la vita dei quartieri perde il suo aspetto sociale e socializzante. E' forse voluto?

Ed ecco la triste storia di Taveggia.

Più di 10 milioni di euro vola­tilizzati: non male per chi, in te­oria, possedeva appena lo 0,03% di uno dei locali storici della vecchia Milano, il «Bar Pa­sticceria Taveggia». E anche una metafora della parabola di quella nobile Milano: persino nel marchio, anch’esso tempe­stivamente fatto sparire (come i soldi dei fornitori) in un gor­go di pseudosocietà di mezzo mondo. È lo spaccato che emerge dal sequestro — ordinato in una corsa contro il tempo fino a 800 mila euro dal giudice civile Car­la Raineri — di tutti i beni di Ro­land el Hokayem quale ammini­­stratore di fatto (col fratello Si­mon) nel 1997-2006.

Autodefinitosi «neurochirur­go di second opinion» a livello internazionale, l’uomo d’affari libanese rileva il locale dai tito­lari storici Enrica Carnelli e Ro­berto Sangalli: «Era il nostro sa­lotto ma non ce la facevamo più, i figli non ne volevano sa­pere, così abbiamo venduto una non meglio identificata so­cietà Limerick che a tutt’oggi non ha ancora finito di pagar­ci». È l’inizio del labirinto rico­struito dal giudice civile, con l’aiuto dell’assistente Andrea Lucchina, nell’ambito dell’inno­vativo tirocinio svolto dai futu­ri avvocati a fianco dei magi­strati: la portoghese Limerick vende alla Hih Holding Ltd, che cambia nome in Royal Private Equity Ltd, che controlla la Ro­yal International Investments ApS, che ha in pancia la Oak Loung Bar Milano srl, la Oak Ita­liana srl, la Oak Management, la Edildomus e, a fine catena te­orica, appunto «Taveggia».

O, meglio, quel che da subito ne resta. Perché dal 2003 al 2006 l’azienda viene trasferita, con cessioni e affitti d’azienda, a so­cietà poi o fallite o in liquidazio­ne, tutte riconducibili a Ho­kayem, alla fidanzata di Simon («protestato per emissione di assegni a vuoto») o a Paolo Gio­la, «con precedenti penali per reati di bancarotta e di dichiara­zione fraudolenta mediante uso ed emissione di assegni a vuoto». Contratti che il consu­lente del pm Mauro Clerici — che ha appena incriminato per l’ipotesi di bancarotta fraudo­lenta Hokayem e Giola — defi­nisce «bizzarri. Il contratto d’af­fitto del ramo d’azienda tra Oak Italiana srl e Oak Hotel Manage­ment srl è stipulato il 26 otto­bre 2004 dalla stessa persona come legale rappresentante sia dell’una sia dell’altra società». E quando il 15 marzo 2006 è «rescisso senza giustificazio­ne», lo è «per concorde volontà di entrambe le parti, rappresen­tate dal medesimo amministra­tore unico, che per forza era d’accordo con se stesso!».

Persino l’unico valore ancora spolpabile, il marchio «Taveg­gia», viene spolpato già nel 2001 con 4 successive cessioni a società straniere (da ultimo al­l’americana Quality & Tradition Llc nel 2006): «atti senza sen­so», se non quello di «sottrarre azienda e marchio alle iniziati­ve legali intraprese dai credito­ri, e di lasciare i debiti sulle sin­gole società poi fallite». Cade vittima anche l’inge­nuo carabiniere del Ros alla ba­se ora del sequestro di beni: fi­dandosi dei fratelli libanesi un po’ perché suo padre era loro dentista e un po’ per l’aureola del «Taveggia», si fa convince­re ad affidare 800 mila euro di risparmi di tutta la famiglia a società indicate da Hokayem per un’operazione immobiliare a Vedano al Lambro. Svanisco­no in un attimo: il tempo di ver­sare 400 mila euro alla Oak Ita­liana srl, e di prestare una fi­deiussione di 400 mila a favore della Oak Lounge Bar senza sa­pere che la società è indebitata con il San Paolo Imi, che ovvia­mente la incamera alla velocità della luce. Quando fa loro cau­sa, gli Hokayem chiedono e ot­tengono un rinvio per concilia­re: e proprio il giorno prima del­l’udienza, capita che venga ven­duto uno dei pochi beni di valo­re ancora aggredibili, un hotel a Limone Piemonte. Ma alla beffa non c’è fine: gli attuali (e del tutto estranei) nuovi proprietari del «Taveg­gia » si sono visti fare causa pro­prio dagli Hokayem. Motivo? Arditamente formale: l’uso del marchio «Taveggia», di cui gli Hokayem ritengono di rivendi­care appunto la titolarità legale.

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