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Pietro Maso inizia la semilibertà lavorando come magazziniere a Peschiera Borromeo. E' polemica sulle scarcerazioni troppo facili

Prima di Erika e Omar c'è stato lui, Pietro Maso. Uno dei casi che ha più scosso l'opinione pubblica italiana degli ultimi decenni per la sua gravità ed efferatezza, per l'età di chi ha commesso il reato, e per il fatto che una vicenda simile non si registrava prima del 1991 dal 1975 con la vicenda di Doretta Graneris (che assieme al fidanzato uccise padre, madre, nonni e fratellino). Quest'ultima ora beneficia della libertà condizionale, vive a Torino e svolge attività di volontariato.

Anche a Pietro Maso ora è stato concesso il regime di semilibertà e va a fare compagnia ai tanti assassini feroci che sono stati "premiati" per la loro condotta in carcere nel nome di un presunto "reinserimento in società" e "ritorno alla normalità". Maso proprio ieri ha iniziato a lavorare alla Elettrodata di Peschiera Borromeo come magazziniere. Non è stato facile trovare un'azienda che lo prendesse a lavorare.

Esce dal carcere di Opera alle 7.30, sale su una Fiesta rossa, vestito con un cappellino blu, jeans e un giubbotto e si reca al lavoro. I suoi legali sono riusciti a fargli avere persino la patente (i regolamenti infatti prevedono che "i detenuti in permesso premio devono viaggiare solo e soltanto con i mezzi pubblici").

Non è la prima volta che in azienda arriva un detenuto, infatti lavorano con una cooperativa che si chiama Coelet, e che si occupa appunto di reinserire detenuti. I suoi nuovi colleghi non hanno voluto parlare, tranne una donna ucraina che ha dichiarato

"Quando ho saputo chi era non ci ho creduto. Aveva l'aria più normale della terra"

Certo, nessuno ha tatutato sulla fronte quello che ha fatto. Maso ha persino una fidanzata che va regolarmente a trovare. Con cui spera di costruirsi una famiglia si pensa.

Peccato che la sua lui l'abbia massacrata con un tubo di ferro a Montecchia di Corsara, in provincia di Verona. Il 17 aprile 1991 Pietro Maso e tre amici (Paolo Cavazza, Giorgio Carbognin e Damiano Burato) indossano maschere di demoni e draghi e poco dopo le 23.30 aggrediscono i genitori Antonio Maso che aveva 52 anni e Maria Rosa Tessari di 48 anni.

I due vengono colpiti con un bloccasterzo e una mazza di ferro: il padre viene soffocato con una coperta e la madre viene finita con un colpo alla testa  infertole proprio da Pietro, che all'epoca aveva solo 19 anni. Per mascherare il delitto viene inscenata una rapina e i ragazzi vanno in discoteca. Al ritorno a casa Pietro finge di scoprire l'accaduto e chiama le autorità.

Ma i nodi vengono presto al pettine: le due sorelle maggiori scoprono che sono stati prelevati 25 milioni dal conto della madre con un assegno contraffatto. Soldi che sono stati spesi nel giro di soli due mesi e per evitare che i genitori se ne accorgessero Maso aveva deciso di ucciderli. Oltre a volersi impossessare dell'eredità, tanto che era parecchio che pensava all'omicidio (avrebbe fatto altri tre tentativi: la madre aveva scoperto persino un sistema rudimentale per far saltare in aria la casa): avrebbe ucciso anche le sorelle per essere sicuro di ereditare tutto solo lui.

Maso è condannato a 30 anni e 2 mesi di reclusione. Ma dopo soli 17 anni entra ed esce dal carcere conducendo una vita "normale". Le polemiche che si rincorrono da diversi giorni sono culminate ieri nella protesta dell'Associazione Italiana Vittime della Violenza davanti a San Vittore.

L'Associazione infatti sostiene che i familiari delle vittime di delitti efferati come questo non vengano adeguatamente tutelate e che si esca troppo facilmente dalle carceri "comportandosi bene". Chiedono solo che gli assassini dei loro familiari non escano come Maso, anche perchè potrebbero uccidere ancora.

E come commenta sarcasticamente sul suo blog l'assessore Boni, vicino all'associazione: per Maso il rischio di reiterare il reato non c'è di sicuro.

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