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Intervista a Polly Paulusma: un successo il suo concerto alla Casa 139

di Simone Sacco

Il cognome potrebbe anche far pensare al Nord Europa ma, in realtà, Polly Paulusma è inglesissima fin dallo sguardo. Più o meno come la fredda pioggia che ha accompagnato il suo ritorno (venerdì scorso) in Italia per un'esibizione (acclamatissima) alla Casa 139 di Milano.

Il motivo? La presentazione in anteprima assoluta del nuovo materiale discografico che dovrà bissare l'ottimo successo (nemmeno così underground…) dell'album di debutto “Scissors In My Pocket” uscito nel 2004 e applaudito in primis dal sempre sospettoso pubblico “indie”. E se tra quei solchi si respirava folk-jazz di qualità, stavolta l'obiettivo si è spostato su coordinate decisamente più soft-rock. Ma questo facciamocelo spiegare da lei stessa, intercettata da Milano 2.0 in un'umida tarda mattinata di questa folle primavera…

I tuoi fan non stanno più nella pelle dalla voglia di ascoltare il successore di “Scissors In My Pocket”…
“Beh, il mio nuovo disco è finalmente pronto. Si chiamerà 'Fingers & Thumbs' e arriverà nei negozi il prossimo 28 maggio. E' un lavoro smaccatamente più ombroso rispetto a 'Scissors…' nonostante la mia musica si sia inspessita e abbia ora un'anima più rock, dato che nell'ultimo tour non ho suonato solo in piccoli locali ma anche in arene molto capienti. E quando ti esibisci in luoghi del genere, sei costretta a fare più rumore per farti sentire…”.

Ti riferisci ai concerti che hai tenuto assieme a un certo Bob Dylan?
“Sì, aprire gli show inglesi di Dylan mi ha svelato una parte del mio carattere che non conoscevo. Oltre a farmi prendere una piccola rivincita su mio padre…”.

Che c'entra tuo padre?
“Lui è uno di quegli uomini all'antica che ha sempre snobbato la mia carriera artistica consigliandomi a più riprese di trovare invece un 'lavoro serio'. Well, sapere che sua figlia stava dividendo il palco con una simile leggenda del XX secolo non dico che l'abbia convertito, ma almeno lo ha zittito per un po' (ride, Ndr)…”.

Torniamo a “Finger & Thumbs”. So che l'ha prodotto Ken Nelson, l'uomo dietro a quel capolavoro che fu “Parachutes” dei Coldplay…
“I suoi consigli sono stati determinanti almeno quanto l'ingresso nella mia band di Alex Maranca, un bassista di origine italiana. Ken continuava a ripetermi che, una volta scovate le canzoni, bisognava lavorare sul suono della batteria. Se quello strumento faceva il suo dovere, probabilmente anche il resto del disco gli sarebbe andato dietro…”.

Nel frattempo, tra un impegno e l'altro, sei pure diventata mamma di una bella bambina…
“Non a caso anche la nascita del disco si è divisa in due periodi: una lunga fase di preparazione, durata circa due anni, e il 'parto' vero e proprio. Prima, a livello organizzativo, le cose non funzionavano granché e spesso ho pensato di non farcela. Poi, in una sola settimana, tutto si è risolto per il meglio: la casa discografica ha sbrigato una bega contrattuale, Alex è entrato nel gruppo e Ken ha deciso di produrre 'Finger & Thumbs'. Ed infine, come nelle migliori storie a lieto fine, è pure venuta alla luce mia figlia. Se non è felicità assoluta questa…”.

Ma è vero che la tua prima esperienza in campo musicale ti ha visto collaborare “virtualmente” con Paul McCartney?
“Già, avrò avuto circa dieci anni e quel giorno decisi di scrivere la mia prima canzone. Ho preso una melodia di McCartney e ci ho aggiunto sopra le mie parole dato che ritenevo il suo testo abbastanza scadente… Ora però non chiedermi di quale brano si trattava: è passato davvero troppo tempo!”.

E adesso?
“Adesso tengo incrociate le dite in attesa dell'uscita di 'Finger & Thumbs'. Non ti nego che, con l'arrivo dell'estate, mi piacerebbe tornare ad esibirmi in Italia per più date. Il vostro pubblico ha un qualcosa in più rispetto ad altre audience europee o americane. Non so cos'è ma è bellissimo lo stesso…”.

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