Un caso di stalking che coinvolge tre attiviste femministe mette in evidenza le dinamiche complesse delle accuse online, attirando l'attenzione su un tema cruciale della sicurezza digitale e della lotta contro la violenza di genere.

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Un’inchiesta avviata dalla Procura di Monza ha portato alla luce un caso controverso che coinvolge tre figure pubbliche del movimento femminista: Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene. Le attiviste, note per il loro impegno contro le violenze di genere, sono accusate di stalking e diffamazione, con un periodo di presunta persecuzione che dura da circa 23 mesi. Questa situazione non solo solleva interrogativi sulla loro condotta, ma anche sulle ripercussioni delle interazioni online.
Le accuse e il loro contesto
Il pubblico ministero Alessio Rinaldi, dopo un’attenta indagine, ha presentato un avviso di conclusione delle indagini nei confronti delle tre donne. Le accuse si fondano su due denunce distinte: la prima è stata sporta da un uomo, identificato come A.S., che ha affermato di essere stato oggetto di un trattamento denigratorio da parte delle attiviste a causa delle sue relazioni sentimentali. La seconda denuncia è stata presentata dalla scrittrice Serena Mazzini, la quale ha sostenuto di essere stata perseguitata a causa delle sue opinioni espresse online.
Il caso di A.S.
A.S. è accusato di aver intrattenuto relazioni contemporanee con due conoscenti delle attiviste, il che ha portato le tre donne a considerarlo un manipolatore e un abuser. In questo contesto, il “call out” è diventato uno strumento di denuncia pubblica, ma può facilmente trasformarsi in una gogna mediatica. Le attiviste avrebbero utilizzato i social media per emarginare A.S. dalla sua vita sociale e lavorativa, creando una situazione di grave disagio per lui.
Il ruolo di Serena Mazzini
Serena Mazzini, oltre a essere una testimone chiave, ha subito a sua volta attacchi da parte di Vagnoli e Fonte. Queste ultime l’hanno accusata di gestire un canale Telegram ritenuto omofobo e misogino, che ha aumentato l’ostilità nei suoi confronti. La Mazzini ha presentato una denuncia per diffamazione, ma l’accusa di stalking è stata successivamente integrata dal pm Rinaldi, evidenziando la gravità della situazione e le conseguenze psicologiche che tali comportamenti possono avere.
L’avvocato di Serena Mazzini, Barbara Indovina, ha sottolineato la necessità di un’educazione digitale per prevenire queste forme di violenza che si manifestano attraverso i social media. Secondo la legale, i comportamenti perseguitori non solo danneggiano la reputazione delle vittime, ma possono anche portare a esiti psicologici devastanti. Il caso ha aperto un dibattito su come le interazioni online possano sfociare in situazioni di conflitto reale e sulle responsabilità di chi utilizza le piattaforme digitali per attaccare o diffamare altri.
La posizione delle attiviste
Le attiviste coinvolte nel caso si dichiarano innocenti e ritengono di avere la possibilità di dimostrare la loro estraneità alle accuse formulate. Nonostante ciò, la Procura di Monza ha ritenuto necessario procedere con l’inchiesta, confermando che il metodo del “call out” può trasformarsi in un vero e proprio plotone di esecuzione virtuale, capace di danneggiare gravemente le persone nel mondo reale. Questa situazione rimane sotto osservazione, in attesa di sviluppi futuri riguardanti il procedimento giudiziario e le eventuali udienze.





