La trappola dei sogni calcistici: quando il desiderio di successo diventa un affare
Come il giovane Giuseppe, moltissimi bambini italiani crescono con la passione per il calcio, iscrivendosi a scuole sportive grazie ai sacrifici di genitori e nonni, sperando di diventare giocatori professionisti. Non sono consapevoli – ed è giusto così, poiché non si devono mai spegnere i sogni e la fiducia dei più giovani – che la strada per chi riesce è estremamente stretta e piena di insidie. Secondo le stime più ottimistiche, solo uno su seimila riesce a riemergere nei tre campionati professionistici. Tuttavia, sognare non dovrebbe avere un prezzo. In questo contesto, sia nel calcio che in altri ambiti, ci sono troppi opportunisti che approfittano di questo desiderio, trasformandolo in profitto. È responsabilità, sì, di chi traffica sogni e di affaristi senza scrupoli, pronti a ridurre in polvere l’innocente speranza di calcare, un giorno, i famosi campi di San Siro, del “Maradona” o dell’Olimpico. Ma è anche colpa di genitori che si lasciano ingannare da presunti agenti, spesso nei confini dell’illegalità, disposti a investire – credendo di agire per il bene dei propri figli – in figure sbagliate. È estremamente errato. Sognare non deve avere un costo. Lo sport, per definirsi tale, dovrebbe essere accessibile a tutti e basato unicamente sul merito individuale, non sul denaro che i genitori sono disposti a spendere per procuratori, intermediari o, sfortunatamente, anche per club senza etica.