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Quanto guadagna un rider? L’analisi mette in luce stipendi molto bassi. Emergono anche questioni legate agli infortuni e agli orari lavorativi

Milano, 17 ottobre – La situazione lavorativa si presenta critica: salari esigui, turni che spesso superano le dieci ore giornaliere, e talvolta si lavora sette giorni a settimana. Molti infortuni, influenzati anche da condizioni climatiche avverse, rimangono non segnalati per paura di ritorsioni sul posto di lavoro; anche quando vengono denunciati, i risarcimenti sono lenti ad arrivare, sia da parte delle aziende che dall’Inail. Inoltre, un rider su tre subisce il furto della propria bicicletta, compromettendo così la propria capacità di svolgere il lavoro. Questi sono alcuni dei risultati parziali provenienti da un’indagine condotta dalla Nidil-Cgil sulle norme lavorative che riguardano i ciclofattorini, i cui dettagli sono stati raccolti tramite risposte di 318 rider operativi a Milano.

Il campione analizzato ha rivelato dati preoccupanti: tramite sondaggi accessibili da smartphone, è emerso un quadro allarmante riguardo l’ultimo segmento, il meno retribuito, dell’economia digitale, in relazione alla direttiva europea che dovrebbe migliorare le condizioni per i lavoratori delle piattaforme. La maggior parte dei rider coinvolti è straniera e lavora con contratti estremamente precari, come quelli legati alla partita Iva. Per quanto concerne le retribuzioni, il 56% degli intervistati ha dichiarato di guadagnare tra 2 e 4 euro lordi per ogni consegna, mentre solo il 7% riesce a posizionarsi nella fascia superiore, guadagnando dai 6 agli 8 euro. A tutto ciò si aggiungono spese mensili che mediamente raggiungono i 200 euro per la manutenzione di biciclette, scooter o auto e altre necessità fondamentali per poter lavorare. “Questa situazione – commenta Roberta Turi, segretaria della Nidil Cgil nazionale – si traduce in guadagni mensili molto ridotti, soprattutto in una metropoli come Milano, dove il costo della vita è elevato. Le risposte riguardanti gli infortuni destano comunque grande preoccupazione.”

Statistiche sugli infortuni tra i rider mostrano una realtà preoccupante. Infatti, il 23% di loro ha sperimentato almeno un incidente durante le consegne, ma ha scelto di non segnalarlo. Solo il 15% ha notificato l’accaduto al proprio datore di lavoro e all’Inail, ma la maggior parte non ha ricevuto alcun risarcimento. Inoltre, il 32% degli infortuni è attribuibile a cadute causate dalle condizioni atmosferiche; la pressione per completare le consegne, spesso anche sotto la pioggia, è un fattore determinante. Le testimonianze dei ciclofattorini indicano che quasi la metà degli incidenti è il risultato di comportamenti irresponsabili da parte degli automobilisti.

Le condizioni di lavoro sono caratterizzate da ritmi estremamente elevati e da una continua connessione: il 27% dei rider lavora più di dieci ore al giorno e il 73% è attivo per quasi tutta la settimana. Solo un modesto 11% si dedica a un’unica piattaforma, mentre il 44% è costretto a collaborare con più di due per guadagnarsi da vivere. “Queste informazioni, una volta terminate le indagini, costituiranno un fondamento per le future battaglie sindacali, anche in relazione alla direttiva europea”, sottolinea Turi. Nel frattempo, è già stata raggiunta un’importante vittoria: Uber Eats ha siglato un “accordo storico” con i sindacati, destinando 3,8 milioni di euro per rimborsare quasi 1.400 rider che hanno perso l’impiego a seguito dell’uscita dell’azienda dal mercato italiano. L’obiettivo ora è rintracciare i rider aventi diritto, considerando che molti si sono spostati all’estero o sono usciti dai radar.

La Cgil darà il via a una vasta iniziativa di comunicazione in diverse lingue, coinvolgendo anche team di rider pronti a fungere da intermediari con i propri compagni di lavoro.

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