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Omicidio Mastrapasqua. Un viaggio a Rozzano, che sfida l’idea di una città caratterizzata da violenza e anarchia

Rozzano, situata a Milano, presenta una duplice natura, apparentemente incoerente. Da un lato ci sono i riferimenti a “Rozzangeles” e le parole del rapper Paki, che sembrano anticipare eventi nefasti: “Rozzi, si apre il fuoco. Io qua ci muoio”. Dall’altro, c’è la lotta per migliorare l’immagine della città, evidenziando iniziative sociali e strutture di prestigio come l’Humanitas o il più grande osservatorio astronomico d’Europa. Tuttavia, la reputazione di violenza persiste, legata alle abitazioni popolari, che ospitano 14.500 persone, e ai paralleli con le banlieue.

“Rozzano non è una città malvagia. Manuel Mastrapasqua era un ragazzo onesto e lavoratore, come tanti qui”, afferma Gennaro Speria, fondatore di Area 51, un’associazione che da quasi dieci anni si impegna a trasformare la nozione di “criminalità” in “solidarietà”. Questi sforzi sono condivisi anche da molte persone “oneste” che risiedono in città, un concetto ribadito dal sindaco Gianni Ferretti in risposta a una frase infelice di Fedez durante una lite: “Io sono di Rozzano, l’ammazzo”. Lo stesso atteggiamento difensivo nei confronti della città era stato espresso dall’allora sindaca del Pd, Mariarosa Malinverno, durante il drammatico episodio della “Mattanza di Vito Cosco” nel 2003. Allora, la comunità si unì per proteggere il nome di Rozzano, con migliaia di persone in strada contro l’etichetta di “13mila residenti pregiudicati”.

Iniziamo con la triste vicenda legata alla Mattanza di Vito Cosco, avvenuta il 23 agosto di ventuno anni fa. Cosco, a causa di un debito di droga non saldato, aprì il fuoco, risultando nella morte di quattro persone, tra cui la piccola Sebastiana, solamente treenne all’epoca. La reazione della comunità e della politica fu molto forte. Dopo il periodo di lutto per le vittime, la furia e l’indignazione si convertirono in un processo di rinascita. Questo ha condotto alla creazione di un ospedale come Humanitas, in collaborazione con l’università, e ha stimolato lo sviluppo di attività commerciali, aumento dell’occupazione e un significativo incremento del valore degli immobili. Da un lato, c’è quindi la dignità dei cittadini rozzanesi “perbene”; dall’altro, però, ci sono le ombre della violenza e del sangue, che continuano a nutrire il mito di una città priva di legge.

Nel febbraio del 2019, si verificarono due omicidi in meno di dodici ore: un imprenditore rozzanese, Giuseppe Giuliano, venne colpito a morte all’ingresso di un cantiere a Cascina Vione (i responsabili sono stati catturati solo qualche mese fa), e poco dopo, un uomo di 63 anni, Antonio C., fu assassinato vicino a un supermercato. Inoltre, a gennaio di quest’anno, un uomo marocchino di 32 anni fu accoltellato in un’officina a Fizzonasco e poi abbandonato in via Pavese. Recentemente, solo dieci giorni fa, un giovane di 21 anni ha sparato tre colpi di pistola in via Berlinguer per intimidire la sua ex. Esistono anche problematiche “storiche”, come il traffico di droga che avviene 24 ore su 24 davanti alla fermata di Piazza del Municipio, una situazione che neanche le incessanti operazioni delle forze dell’ordine sono riuscite a fermare.

Non si sa ancora se gli interventi volti a rinnovare il centro del quartiere popolare, iniziati dall’amministrazione qualche settimana fa, avranno successo. L’obiettivo è far emergere quella realtà che, come descrive il soccorritore Francesco Lombardi, contrasta con l’immagine negativa di Rozzano, mettendo in luce le “numerose persone rispettabili” che, nonostante le difficoltà economiche, si adoperano per sostenere chi ha bisogno.

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