Milano – “Si necessita competenza tecnica, stabilità e resistenza emotiva”. Questo è ciò che afferma Cinzia Altieri, esperta di grafologia forense e criminologia d’arte, parlando del suo lavoro. La professionista milanese che ha recentemente autenticato la firma di Picasso su un dipinto ritrovato in un deposito di rottami a Capri, dove un ignaro rigattiere lo aveva appeso nella sua casa per cinquant’anni. Ella sottolinea che il suo lavoro richiede diversi giorni di analisi minuziose. Durante i suoi 30 anni di carriera, ha lavorato su opere di artisti come Leonardo da Vinci, De Chirico, Dalì e Fontana, seguendo procedure internazionali utilizzate da corpi di polizia scientifica.
Senza approfondire dettagli di natura tecnica, la sua metodologia coinvolge comparare la firma in esame con altre firme autenticate di un determinato artista. Ciò implica valutare la capacità grafico-motoria dell’artista tenendo conto delle variazioni, poiché le firme non sono mai esattamente identiche, assicurando una coerenza tra le firme analizzate e quelle sicuramente attribuibili all’artista.
L’analisi prende in considerazione e confronta i micro-movimenti, la biomeccanica e l’automatismo del gesto grafico, che sono ripetuti più volte, con le tracce ingrandite del materiale utilizzato. Nel caso specifico, “un olio denso che presenta le stesse caratteristiche in altre opere firmate da Picasso”. Emozioni a parte, si è soliti dire.
“Nessuna differenza fa a me se la firma è autentica o falsa”, afferma la grafologa che ha risolto il mistero del caso Stefano Binda, recentemente scagionato dall’incriminazione per l’omicidio di Lidia Macchi nel 1987. “Ciò che conta per me è la mia fiducia nel risultato del mio lavoro”. Questo lavoro non riguarda solo questioni artistiche, ma anche, e soprattutto, questioni legali e criminali, dove l’esito di un caso può dipendere dalla veridicità di un documento scritto.