Dopo mesi di latitanza, due ulteriori membri della banda che avrebbe perpetrato l’omicidio del giovane Jhonny Sulejmanovic, 18 anni, di etnia rom e di origine bosniaca, sono stati fermati dalla polizia. L’aggressione mortale è avvenuta nella notte del 26 aprile in via Varsavia, a Milano. Del gruppo composto da sei individui identificati dagli investigatori, tre sono già stati arrestati in giugno, e gli ultimi due sono stati catturati oggi. L’ultimo membro del gruppo rimane ancora da trovare. Le prove contro di loro sono considerevoli: erano giunti a bordo di una Seat nera su via Varsavia, hanno aggredito il furgone dove stava dormendo la vittima con sua moglie, rompendo i vetri con barre di ferro, per poi trascinare Sulejmanovic fuori e ucciderlo con almeno tre colpi di arma da fuoco. Prima di lasciare la scena, hanno sparato ulteriori colpi intimidatori contro i familiari della vittima che erano giunti sul posto nel tentativo di interrompere l’assalto. I tre membri arrestati in giugno sono Roberto Ahmetovic, 33 anni, che è stato indicato come colui che avrebbe iniziato il litigio violento che ha portato all’omicidio, Jadovar il cognato 38enne e Rubino Sulejmanovic, 35 anni, che era presente fin dall’inizio ed è stato identificato come coinvolto diretto nell’omicidio dai familiari di Jhonny nelle ore immediatamente successive al crimine. La Polizia ha ricostruito accuratamente le fasi dell’assalto e ha individuato il movente in una lite che era scoppiata solo poche ore prima tra due degli assalitori e la vittima, che era sostenuto dai suoi parenti.
Dopo aver identificato i primi quattro sospettati, le autorità hanno scovato il quinto membro del gruppo. Hanno anche scoperto che un sesto individuo, che non ha mai aperto la portiera, era al volante del veicolo da cui sono emersi gli aggressori. Questa persona ha condotto il gruppo sul luogo dell’aggressione, ha aspettato che fosse compiuto l’omicidio e ha poi facilitato una fuga veloce. Una delle due persone alle quali è stata oggi imposta una misura cautelare è stata detenuta presso il carcere Francesco di Cataldo. Il secondo, che non è stato trovato, è attualmente oggetto di ricerca sia a livello nazionale che internazionale.