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Fabrizio Carcano: “Con Milano ho un rapporto simbiotico, quasi morboso”

La carriera e il rapporto con la sua città: l'intervista a Fabrizio Carcano.

fabrizio carcano
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Giornalista professionista e autore, Fabrizio Carcano ha raccontato la sua carriera e il parallelo con la sua vita privata tra Milano, sua città di origine, e Bergamo, che lo ha accolto e che gli ha permesso di prendere il volo dal punto di vista lavorativo.

Intervista a Fabrizio Carcano

Ufficio stampa, giornalista sportivo, prolifico autore di best seller hard boiled e da poco direttore editoriale per il settore gialli in Mursia. In sostanza una vita all’insegna del motto meneghino “Milàn che fa andàa i man” o “ se stàa mai cunt i man in man” sebbene te ti sia trasferito a Bergamo raccontaci un po’ la tua vita e le differenze tra Bergamo e Milano.

Da buon milanese mi piace fare tante cose, a volte anche insieme, a volte anche sovrapponendole e mi piace abbinare diversi mestieri anche se poi sono tutti legati alla scrittura e alla capacità di comunicare o raccontare.

Sono un giornalista professionista, ho iniziato a scrivere per Il Giorno nel 1992 ad appena 19 anni, ho avuto la fortuna di scrivere per tante testate e ho fatto l’ufficio stampa, anche se negli ultimi anni da quando sono partita Iva mi sono concentrato di più sul giornalismo e sulla sulla scrittura. Ormai diciamo che ho una doppia vita professionale abbastanza ben distinta: faccio lo scrittore di romanzi gialli al mattino e il giornalista sportivo al pomeriggio seguendo in particolare modo quotidianamente l’Atalanta, come corrispondente per il Giorno, e poi la mia ‘amata storica’, la pallacanestro Olimpia Milano di cui son tifosissimo. E questa duplice verità mi permette di avere anche più più stimoli sia come scrittore che come giornalista: sono due professioni diverse ma anche facce diverse la stessa medaglia perché poi alla fine sono mestieri legati alla scrittura.

Nei tuoi romanzi Milano è sempre protagonista nel senso che è molto più di una ambientazione ma quasi un partner dello sbirro di turno e come lui è tribolata e come lui malgrado tutto va avanti proiettata nel futuro. Come è il tuo rapporto con Milano e pensi che saresti a fare quello che hai fatto se non fossi nato ev vissuto a Milano?

Premessa duplice: mi sono trasferito a Bergamo nel 2015 per amore, perché la mia compagna, con cui condivido la mia vita dal 2008, è bergamasca. Questa la prima premessa, l’altra è che per anni non sono stato convinto di spostarmi, rimandando più volte questa scelta, anche se Bergamo mi piaceva.

Poi ho deciso è questa nuova vita mi ha aperto nuovi orizzonti come scrittore e come giornalista in un percorso parallelo. Come giornalista ho avuto la possibilità di seguire l’Atalanta tra l’altro proprio nel momento in cui da provinciale che lottava per la salvezza iniziava il ciclo che l’avrebbe portata ai vertici europei (consentendomi anche di seguirla in giro per l’Europa) e come scrittore mi sono ritrovato, dopo qualche anno sotto tono, favorito anche dal fatto di abitare in una zona periferica di Bergamo, la zona tra le colline che vedo dalla mia mansarda, il luogo dove scrivo i miei libri, ormai interamente concepiti e scritti a Bergamo ma ambientati solo e sempre nella mia Milano.

Altra premessa: io abito a Bergamo, ci vivo, ma sono milanese. Come mentalità, accento, carattere, skill. Ci tengo sempre a ricordarlo! E aggiungo con orgoglio che sono un milanese di Corvetto. Detto questo con Milano, dove ho vissuto per i miei primi 42 anni, ho sempre avuto un rapporto molto intenso, strettissimo, simbiotico, con la mia città direi che ho avuto un legame quasi morboso e l’ho sempre amata: adesso da Bergamo (ma ho ancora casa a Milano per cui non ho deciso il cordone ombelicale) la vedo con un po’ più di distacco, anche se la vedo comunque sempre bellissima pur con i suoi difetti che del resto racconto come ho sempre fatto nei miei libri e ci mancherebbe che non lo facessi.

Per esempio racconto spesso il fatto che in questi anni, anche prima del virus, la zona del centro ha avuto uno sviluppo, un’ impennata anche verticale, di bellezza e novità, mentre le periferie spesso purtroppo non hanno seguito questo sviluppo. Nei miei libri racconto anche come Milano cambi pelle come un serpente, ad ogni stagione. Basti pensare, restando vicino a Corvetto, a come sta cambiando velocemente la zona tra gli scali ferroviari e via Ripamonti dove è sorta una nuova City residenziale oppure a come in quindici anni l’Isola sia passata da una zona degradata alla nuova Tribeka milanese. Amo molto paragonare Milano e New York: ovviamente la nostra Manatthan è la rinata zona Porta Garibaldi, con il suo ombelico in piazza Aulenti.

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Nei tuoi romanzi c’è sempre una componente un p0′ esoterica. Non è strano? Nel senso che io da milanese ho sempre trovato Milano troppo pratica ed appunto proiettata verso il futuro per essere esoterica o forse l’aspetto esoterico è anche un espediente narrativo per raccontare altro?

Sembrerà strano ma Milano è una città assolutamente esoterica, vanta una storia esoterica poco raccontata e poco celebrata, del resto il più grande esoterista della storia mondiale ovvero Leonardo da Vinci ha operato in città per 19 anni lasciandoci non solo dipinti e tutti i suoi vari schizzi, disegni e progetti che oggi sono racchiusi nella biblioteca Federiciana ma ci ha lasciato comunque tracce nei monumenti, nelle chiese e poi attraverso i suoi allievi.

Milano è una città esoterica che ha avuto anche sette sataniche e gruppi massoni. Nel mio primo romanzo, nel 2011, Gli angeli Lucifero, sono andato alla ricerca di questi luoghi esoterici tra cui la famosa casa del diavolo di Porta romana. al numero tre di corso di Porta romana, oppure la colonna del Diavolo, piazza Vetra, i misteri di Sant’Eustorgio dove operavano gli inquisitori ecc e il messi tutti insieme nero su bianco, raccontando ai milanesi in una maniera diversa i segreti di Milano e forse anche questa è stata la chiave di successo che negli anni hanno avuto i miei libri. Pensate che nel 2017 il comune di Milano ha selezionato dieci gialli milanesi da far scaricare gratuitamente come ebook in metropolitana ai viaggiatori attraverso il qr code del biglietto: ebbene il mio romanzo Gli Angeli di Lucifero venne scaricato da 17mila milanesi in 80 giorni!!!

Nell’ultimo tuo romanzo che sto leggendo (Il mostro di Milano) parli di una Milano che passa dagli anni del boom agli anni di piombo e della droga e te sei nato nel ’73. Questo mi dà lo spunto per chiederti – domanda di rito che faccio a tutti- come vedi cambiata la nostra Milano e come la vedi in un prossimo futuro?

Il mostro di Milano nasce da una base di una storia vera ovvero il mistero tuttora insoluto di almeno 11 donne uccise tra il 1969 e il 1975, tutte uccise con una grandinata di coltellate tra le 30 e le 50. Ancora oggi di queste donne sappiamo relativamente poco: otto di loro erano povere prostitute he battevano sui vialoni periferici all’epoca, povere lucciole sotto i lampioni e la stampa dedicò loro poco spazio. Erano quasi tutte donne meridionali venute a Milano in cerca di una fortuna che non avevano trovato.

Poi ci sono i tre delitti delle altre donne, con una vita diciamo normale, tra questi il delitto più famoso attribuibile a questo presunto Serial killer è quello della studentessa della Cattolica avvenuto il 26 luglio 1971, ma è anche famoso il diritto dell’affittacamere di via Copernico della 16 febbraio 70.

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Questa storia meritava di essere raccontata in un noir, pur mancando di certezze processuali, perché non c’è mai stato un vero fascicolo giudiziario su questo presunto serial killer e questo resta uno dei grandi misteri d’Italia nel senso che ancora oggi Milano a cinquant’anni distanza non ha la certezza se ci sia stato veramente questo assassino seriale oppure no. Di sicuro resta il fatto che almeno 11 donne, ma forse anche di più sono state uccise in questo modo quindi con una continuità omicidiaria basata su un’arma bianca.

L’altro filo rosso evidente è che i delitti erano legati dalla vicinanza o dalla presenza di ambienti religiosi. Si è trattato di un’indagine monca, senza conclusione, un’indagine in qualche modo complicata anche nei fatti politici di cronaca di quel momento che la bomba in piazza fontana e la morte di Pinelli, con il conseguente odio per la polizia.

Quella era la Milano che incubava gli anni di piombo, parliamo del 70 e del 71 soprattutto, ma ripeto è una storia che andava raccontata e anche se non ancora nato chiaramente ho fatto le dovute ricerche sia sui delitti sia su quel tipo di Milano anche banalmente interpellando i miei genitori e le persone che hanno visto e vissuto quella Milano.

Come si è evoluta la tua carriera di autore di hard boiled e in che direzione sta andando?

La mia carriera di scrittore finora ha avuto uno snodo atipico rispetto ad altri colleghi: a novembre uscirò con il mio tredicesimo romanzo e di questi ben 12 hanno per protagonista seriale il commissario Bruno Ardigò, il tipico milanese imbruttito, un personaggio anche generazionale che nel romanzo d’esordio ha 35 anni e nell’ultimo ne ha 47. È cresciuto è invecchiato libro dopo libro insieme alla sua Milano, accompagnandone eventi e cambiamenti. È un personaggio che ha conquistato l’affetto e la simpatia di decine di migliaia di milanesi e per me non è facile staccarmi da lui, un po’ come a Montalbano per Camilleri. È presente in tutti i miei romanzi tranne appunto, per ragioni anagrafiche, nel Mostro di Milano dove ho messo in scena l’oscuro commissario Vittorio Maspero, un altro personaggio piaciuto ai lettori milanesi.

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