Riccardo Secchi milanese da generazioni innumerevoli è un autore a tutto tondo fin dalla più giovane età.
È una persona schiva e con un sempre presente sense of humour, ci siamo incontrati in un ristorante in via Lomellina e sono riuscito a intervistarlo.
Ci conosciamo da anni e da anni i nostri discorsi vanno sempre a finire lì: i fumetti. Come vedi il panorama del fumetto in Italia in questo momento?
Il fumetto è in crisi strutturale da diversi anni, come tutta l’editoria del resto, ed è un fenomeno globale, non solo italiano.
A soffrirne maggiormente è stato certamente il fumetto popolare, che è sempre stato quello che ho seguito maggiormente. Per me risponde alla vera essenza di quel linguaggio, intuitivo e potenzialmente in grado di parlare a tutti, e questo non significa non poter essere di qualità e spessore oltre l’intrattenimento. A resistere sono ancora i personaggi storici ma sono lontane le grandi vendite di anni fa.
Secondo te quali sono i motivi?
Principalmente sono motivi oggettivi: l’impatto della rivoluzione digitale, la grande recessione iniziata nel 2008, la trasformazione delle filiere di tutto il sistema dell’intrattenimento… ma nel caso specifico italiano ci metterei anche il ritardo nell’aggiornarsi a nuove modalità narrative, fatto che, per molti (a questo punto ex) lettori ha reso il fumetto popolare spesso superato.
Però non tutto il panorama è negativo, in questi ultimi anni il fumetto ha avuto un grande sviluppo in ambito librario, con la diffusione delle graphic novel e dei volumi in genere. Oggi ogni libreria, anche non specializzata, ha una vistosa sezione dedicata ai fumetti. E anche la tanto facilmente vituperabile rete permette a giovani autori di trovare subito feedback e contatto con il pubblico. Alcune delle realtà fumettistiche più solide oggi, sono nate in questo modo.
È ancora una narrazione ed un entertainment attuale?
Certamente sì, e non parlo solo in termini affettivi. Lo dimostra anche il fatto che il cinema e la serialità tv, che è la modalità narrativa considerata più moderna, attingono volentieri dal mondo dei fumetti.
Che fumetti stai scrivendo in questo momento?
Ho concluso da poco uno speciale di Zagor che dovrebbe vedere luce in primavera. Poi, come tutti, ho un po’ di cose nel cassetto che spero si sviluppino.
Tra i disegnatori attuali chi ti piace in particolare?
Abbiamo in Italia dei disegnatori straordinari, di valore internazionale, e la lista sarebbe anche lunga. Mi piace ricordarne uno che trovo davvero unico, Paolo Bacilieri, che ho sempre seguito sin dall’inizio e che è anche diventato nel tempo anche un buon amico. Con Paolo abbiamo tra l’altro realizzato insieme una storia di Dylan Dog che spero vedrà presto luce. Mi sono divertito molto a lavorare con lui.
So che, come molti fumettisti, sei anche un musicista, hai anzi un progetto tuo personale che si chiama Riccardo III. Ce ne vuoi parlare?
Sì, in parte mi sento quasi un musicista mancato, ed è indubbio che fumetto e musica, per lo meno alcuni suoi generi, hanno spesso un immaginario che tende ad avvicinarsi, non fosse altro perché usano due linguaggi diretti e immediati. Nel nostro campo comunque credo che sia difficile battere Davide Toffolo, che ha raggiunto livello di eccellenza sia nel fumetto che nella musica con i suoi Tre Allegri Ragazzi Morti.
Come Riccardo III ho pubblicato quattro brani, c’è il mio canale youtube se qualcuno ha curiosità. L’ultima cosa che ho realizzato è stata la musica per uno spettacolo teatrale per bambini che si chiama ‘Balla coi bulli’, un’esperienza davvero divertente e interessante. Conto di riprendere entro l’anno anche l’attività concertistica.
Da qualche anno tieni anche dei corsi di storytelling e sceneggiatura. È stata una cosa naturale passare all’insegnamento?
In un certo senso sì, per vari motivi.
Intanto scrivere è un’attività solitaria, si passano molte ore da soli davanti al computer, e nel mio caso almeno, questo viene compensato in modo salutare dall’insegnamento che è un’esperienza collettiva, di relazione con altri esseri umani. Poi costringe a una continua verifica e ricerca nel proprio campo, oltre al ritorno emotivo e al piacere nel vedere gli allievi davvero crescere. La mia più grande soddisfazione è quando qualcuno di loro, e un po’ ce ne sono stati, si affermano in qualche campo della narrazione.
Tengo diversi corsi, uno mio personale che si chiama Storytelling Tools e poi insegno un giorno alla settimana alla scuola Mohole.
Sei milanese da diverse generazioni, puoi dirci come vivi la tua città?
Cerco di sfruttare le possibilità che offre, specie in ambito culturale. Non possiedo da anni l’automobile, uso i mezzi pubblici, che globalmente funzionano in modo affidabile, e cammino molto per la città, cosa che mi è sempre piaciuto fare.
Poi dipende dai periodi, a volte esco molto, altre volte no, come tutti immagino. Milano entra direttamente anche nel mio lavoro visto che da diversi mesi tendo a scrivere in alcune biblioteche pubbliche, cosa che al momento mi piace molto.
Come vedi cambiata Milano, perché indubbiamente è cambiata?
Milano sta cambiando molto, in modo accelerato potremmo dire, con risultati che vedremo e che giudicheremo. Al di là dell’ottima comunicazione a riguardo, sono molto tiepido circa la fama di città con la miglior qualità della vita d’Italia.
Forse lo può essere per una categoria ristretta di persone, con una salda disponibilità economica e un tipo specifico di necessità, meno, sotto diversi aspetti, per la maggioranza. Non apprezzo per nulla la politica ambientale, che trovo in continuità con l’incapacità mostrata dalle amministrazioni precedenti a trovare un possibile contrasto alla pessima qualità dell’aria ad esempio, che non è proprio un problema secondario. Comunque rimane la città in cui sono nato e cresciuto, la mia città.