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Il murale in memoria di Alan Kurdi e le politiche migratorie in Italia

Inaugurato il murale in memoria di Alan Kurdi, ma è davvero solo un gesto simbolico?

Diciamoci la verità: l’inaugurazione del murale dedicato ad Alan Kurdi al Parco del Giambellino non rappresenta solo un atto commemorativo, ma un riflesso delle contraddizioni delle politiche migratorie italiane. Mentre il paese si ferma a contemplare l’arte, le vite umane continuano a essere sacrificate nel Mediterraneo.

Un gesto simbolico o un vero cambiamento?

Il murale, realizzato dalla Cooperativa Farsi Prossimo con il contributo di minori non accompagnati, è stato svelato in una cerimonia alla quale hanno partecipato autorità locali. Il presidente del Municipio 6, Santo Minniti, ha affermato che ricordare è un dovere, ma sorge una domanda cruciale: ricordare cosa? E soprattutto, a che scopo? Il 3 ottobre, data scelta per l’intitolazione del parco a Alan, segna non solo il ricordo del piccolo rifugiato, ma anche il dramma di Lampedusa e delle migrazioni che caratterizzano il nostro tempo.

La realtà è meno politically correct: il rischio è che questo murale diventi l’ennesimo simbolo vuoto, una decorazione per nascondere la polvere sotto il tappeto delle politiche migratorie inadeguate. L’assessore al Welfare, Lamberto Bertolé, ha evidenziato l’urgenza di riformare tali politiche, ma le parole da sole non bastano. Nonostante le 28 mila vittime del mare, le norme sull’immigrazione rimangono disumane e inadeguate.

La tragedia umana dietro l’arte

Il murale rappresenta un potente monito, un’immagine che evoca la vita di un bambino, così come le vite di molti altri che cercano disperatamente un futuro migliore. Troppi muoiono in mare, e l’immagine di Alan Kurdi, sebbene straziante, è diventata un’icona di una crisi che non sembra avere fine. Questo dramma non può e non deve essere ridotto a un’opera d’arte, per quanto significativa possa essere.

Il fatto che l’opera sia stata creata da giovani accolti in centri di accoglienza rappresenta un tentativo di inclusione, un messaggio volto a stimolare una discussione pubblica. Tuttavia, rimane da chiedersi: è sufficiente un murale per cambiare le coscienze? Oppure si tratta solo di un’operazione di marketing sociale, utile a placare le coscienze senza affrontare il problema reale?

Una riflessione necessaria

È fondamentale interrogarsi su cosa significhi fare memoria oggi. La società sembra avere una memoria corta, attivata solo in occasioni come queste. Continuando a ignorare la complessità del fenomeno migratorio, si rischia di scivolare nel cinismo. L’arte può sensibilizzare, ma senza un’azione concreta, rimane solo un bel dipinto su una parete.

Il murale di Alan Kurdi deve essere un punto di partenza, non di arrivo. È necessario trasformare il dolore in azione. Le politiche migratorie devono essere riformate, non solo per onorare la memoria di chi è morto in mare, ma per garantire che tragedie simili non si ripetano. L’arte può ispirare, ma è la volontà politica che deve muovere le montagne.

In conclusione, è essenziale mantenere un pensiero critico. Non bisogna lasciarsi ingannare da gesti simbolici che non portano a cambiamenti reali. La memoria è fondamentale, ma deve tradursi in azioni concrete affinché il sacrificio di Alan e di tanti altri non venga dimenticato.

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