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Quei giovani assassini sembrano agire senza motivo. “Prendere vita è come partecipare a un gioco estremo.”

Giovani in preda alla violenza: il dramma di una generazione smarrita

Milano, 15 ottobre 2024 – Pochi secondi. Tanto è bastato a Daniele Rezza per stravolgere tutto. Un giovane di 19 anni, un paio di cuffie dal costo modesto, una coltellata. Manuel Mastrapasqua crolla al suolo. Il valore delle cuffie è irrilevante, mentre quello umano è impagabile. Tuttavia, l’aggressione non è soltanto fisica; rappresenta l’esplosione di un ragazzo sopraffatto da un tumulto interiore. Daniele ammette di sentirsi teso, di aver avuto una giornata difficile. Ma davvero una “giornata difficile” giustifica tale violenza? La risposta risiede nei meandri di una mente primitiva che reagisce in modo automatico. Non era la prima volta in cui Daniele si trovava in questa situazione: la rabbia cresce, accumulandosi fino a dar vita a un’esplosione incontrollabile.

La violenza come sfogo

In quel frangente, la razionalità cede il posto all’istinto. Qui non si tratta più di scelte consapevoli, ma di un bisogno di sfogo. Per agire con tanta insensibilità, è necessario sviluppare un disprezzo verso gli altri, e quella notte Manuel si trovava nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Ma Daniele non è l’unico a percorrere questa strada. A Viadana, un altro ragazzo di 17 anni affronta Maria Campai per un incontro intimo. Quando lei rifiuta le sue avances, il suo mondo crolla. Quel “no” diventa insostenibile, una ferita all’orgoglio che il suo cervello emotivo fatica a tollerare. La rabbia si trasforma in cieca violenza: Maria non è più vista come una persona, ma come un ostacolo da superare. Un’altra vita spezzata per un motivo superficiale, e dietro il gesto violento si cela un dramma simile: una mente incapace di gestire la frustrazione, che converte la sofferenza in distruzione.

La violenza pianificata

Infine, c’è il caso più difficile da accettare. A Paderno Dugnano, un 17enne stermina la sua intera famiglia, infierendo con sessantotto coltellate. Colpisce sua madre, suo padre e il fratellino di dodici anni. Non si tratta di un atto impulsivo, ma di una violenza accuratamente pianificata. “Se avessi riflettuto di più, non l’avrei fatto”, afferma, ma quelle frasi sembrano vuote. Aveva riflettuto, e aveva preso una decisione. Una razionalità che ha perso il controllo, un odio profondo accumulato nel tempo, pronto a esplodere con effetti devastanti.

La ricerca di brivido

Tre storie diverse, tre giovani che hanno optato per la violenza come unica strada di fuga. Cosa li unisce? Il disprezzo per l’esistenza, l’incapacità di affrontare il rifiuto, la frustrazione o il dolore. Ma non è solo questo: alcuni commettono omicidi per la scarica di adrenalina, per il piacere di esercitare un potere totale su un altro individuo. Come l’assassino di Maria Campai e, prima, di Sharon Verzeni. Non si tratta di rabbia o vendetta: è un’esperienza estremamente intensa, una sfida al limite. I miei colleghi americani li definiscono “killer in cerca di brivido”. Questi individui non desiderano riscatto, ma emozioni forti, capaci di farli sentire veramente vivi. Per loro, l’omicidio diventa una prova: vogliono capire se possono mantenere la calma, se riescono a eliminare senza esitazione, se il vuoto che li attanaglia può essere riempito da un singolo atto di pura violenza. Il valore della vita? Semplicemente nullo. In questo mondo distorto, il sangue diventa il mezzo per esplorare la propria onnipotenza, esercitando un controllo totale che non trovano in nessun altro contesto. E poi c’è l’emulazione. Questi giovani vedono nei criminali che idolatrano un riflesso di se stessi, condividendo con loro la stessa solitudine e la stessa rabbia repressa.

Non si tratta solamente di liberare tensioni: è una battaglia per riprendere il potere, per riconquistare un’esistenza che sembra andare via. In un universo che ha tradito le loro aspettative, la violenza si trasforma nel metodo più immediato e feroce per affermare il dominio su se stessi. Anche se per un breve istante.

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