Se non fosse una situazione tragica verrebbe quasi da ridere. Sì, ridere. Perchè per anni, decenni, abbiamo sempre vissuto la mafia come qualcosa di distante, una roba che da polentoni abbiamo sembre relegato alla terronia.
Razzismo inconsapevole, razzismo consapevole, stravolgimento della realtà, da struzzi del nord ci siamo nascosti dietro ad una semplice regoletta: sotto casa mia nessuno è mai passato a volto coperto, in sella ad una moto, per un regolamento di conti. Qui non si spara, vè, mai visto un agguato notturno. Sì, ci sarà pure la criminalità, ma di tutt'altro genere. Sono fortunato io, che vivo qui al nord.
Ed è vero, le mafie qui al nord non vivono di regolamenti di conti, ma la loro sopravvivenza economica è garantita proprio dalla loro "nuova" posizione geografica: altro che sud, gli affari si fanno qui. E' da noi che la brava gente, tutti i giorni, fa affari con la malavita. Senza farsi troppi problemi, nascondendosi dietro alla solita scusa: in Italia funziona così, e poi non è che sia proprio mafia, sono solo affari un po' sporchi. Il fatto di non trattare con una pistola in mano ma con una elegante valigetta di pelle rende tutto più semplice e pulito
Imprenditori, politici, costruttori, semplici lavoratori che tutti i giorni scendono a compromessi. Milano è la capitale della 'ndrangheta, la Lombardia è territorio dei loro affari. Le mafie, in giacca e cravatta, sono qui da noi. L'Expo sarà il loro nuovo Eden.
Allora, per rendere più chiara questa veloce introduzione, riportiamo l'interessante articolo di Davide Carlucci per Repubblica. Da leggere tutto d'un fiato.
Milano capitale della ‘ndrangheta. Luogo dove l´organizzazione criminale calabrese sta realizzando la sua nuova strategia: cooperare con tutte le altre mafie, sia italiane che straniere, per mettere le mani su due grandi business, narcotraffico e opere pubbliche. A cominciare dall´Expo 2015. Ma senza trascurare le infrastrutture e l´Alta velocità. È il quadro che emerge dall´ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, firmata da Vincenzo Macrì e inviata al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso.
I magistrati sono preoccupati per gli appetiti delle ‘ndrine sulla futura esposizione universale, che scatena «interessi maggiori di quelli ipotizzabili per il ponte sullo stretto di Messina». E aggiungono: «Gli esperti sanno bene che prospettive di tale portata comportano anche un riassetto, un riposizionamento organizzativo delle cosche sul territorio». E temono che il radicamento delle famiglie, collegate con la madrepatria ma ormai autonome, «incida sostanzialmente sul tessuto sociale».
Aggiungono: «Grave sarebbe se si determinasse una sorta di assuefazione», anticamera della «convivenza col fenomeno mafioso». Scrive infine Roberto Pennisi, procuratore antimafia: «La penetrazione sembra accentuarsi, favorita da una maggiore predisposizione degli ambienti amministrativi, economici e finanziari ad avvalersi dei rapporti che s´instaurano con l´ambiente criminale. Soprattutto nei settori delle opere pubbliche, dell´edilizia, dei mercati e della circolazione del denaro».
Sono i settori ideali per riciclare il denaro della droga. Varie indagini «segnalano l´evidente ritorno sulla scena del narcotraffico di rilevo internazionale». Boss calabresi e siciliani, che operano «in sinergia con narcotrafficanti stranieri». Ma non è solo Cosa nostra a dare una mano alla ‘ndrangheta. Collaborano anche le organizzazioni balcaniche (albanesi e serbo-montenegrine) e nordafricane. È vero che «stanno monopolizzando le fasi intermedie ed esecutive» del commercio di droga. Ma a coordinare i loro movimenti sono le famiglie calabresi. Gli emergenti, ora, sono i serbi, coinvolti dalle ‘ndrine in operazioni che transitano dal Sudamerica, dai Balcani, dalla Polonia (come dimostra un´indagine del pm Marcello Musso). Il risultato è che Milano è al secondo posto in Italia per numero di persone indagate per droga: sono 1247 contro le 1440 di Napoli.
Un allarme che si accompagna a quello per la penetrazione della mafia russa in Lombardia, che sta investendo nel commercio all´ingrosso e nell´acquisto di immobili di lusso. Anche con loro tratta la ‘ndrangheta, che ha visto recentemente due dei suoi boss più rappresentativi – Paolo Sergi e Antonio Piromalli – finire in manette proprio a Milano.
La capitale finanziaria d´Italia, ovviamente, è anche il luogo principe del riciclaggio, come ha dimostrato, ad esempio, l´inchiesta del pm Mario Venditti sui rapporti tra il clan Ferrazzo e l´avvocato milanese Giuseppe Melzi. Ma attenzione: non c´è solo la city. Anche le comunità straniere hanno imparato a riciclare il loro denaro attraverso circuiti bancari informali. È il caso delle organizzazioni nordafricane: i magistrati della Dna temono se ne servano per finanziare il terrorismo islamico.
Ma esistono anche banche clandestine cinesi, operazioni finanziarie sospette di gruppi albanesi, e sudamericani che riciclano attraverso i money transfer i proventi della cocaina. Una di queste agenzie, come ha dimostrato un´indagine del pm Margherita Taddei, era in grado di movimentare cifre pazzesche: oltre 400 milioni di euro in tre anni. «Ne è emerso un quadro estremamente allarmante circa la funzionalizzazione del meccanismo del money transfer all´agevolazione dei traffici illeciti», scrivono i magistrati.