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La comunità di Paderno, travolta dalla crisi e dalla tragedia, ha richiesto l’intervento del noto Alberto Pellai. Il suo messaggio è chiaro: “Dobbiamo imparare a riconoscere e comprendere il dolore”

Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Milano, parla di “rigenerazione” nel contesto di una comunità che ha bisogno di essere formata e rieducata. Secondo Pellai, non si tratta di cercare mostri nascosti, piuttosto di comprendere quali sono gli elementi chiave per un sano sviluppo e dove abbiamo sbagliato. È un’autorità nel campo dell’istruzione alla salute e della prevenzione, in particolare per i più giovani. Dopo un tragico evento familiare avvenuto il 31 agosto, la città di Paderno Dugnano ha deciso di organizzare un incontro pubblico con lui, che si terrà il 29 ottobre e sarà trasmesso anche nelle biblioteche di altri comuni interessati.

Pellai spiega che l’iniziativa è nata dalla gravità dell’evento e dal suo impatto sulle famiglie non solo di Paderno. Hanno notato una forte reazione collettiva: i genitori spaventati hanno scritto, chiamato e sollecitato aiuto, sembrava che mancasse un punto di riferimento.

Da questo incontro, Pellai auspica che emerga l’importanza di riportare al centro del dibattito una genitorialità sana. Sottolinea che concentrarsi esclusivamente sui fattori di rischio significa perdere di vista tutti quegli aspetti che contribuiscono a una crescita positiva.

Le tre domande fondamentali da porsi, secondo Pellai, sono come mantenere viva l’alleanza, per esempio tra la scuola e la famiglia, in un mondo sempre più isolato e conflittuale, e come rigenerare complessivamente la comunità educativa.

Nell’approccio educativo attuale, abbiamo trascurato di considerare le tappe e le fasi di crescita di ogni individuo, perdendo di vista l’importanza del percorso che è unico per ogni bambino. Gli allenatori e i mentor svolgono un ruolo cruciale nell’aiutare i giovani a navigare attraverso le difficoltà, fornendo loro gli strumenti necessari per affrontare le tempeste della vita e introducendo occasionalmente degli ostacoli per stimolare il loro sviluppo.

Un’altra questione attuale cruciale riguarda la prevalenza della solitudine e l’eccessivo peso delle relazioni virtuali rispetto a quelle reali. Come possiamo riportare l’equilibrio in questa situazione? I giovani di oggi sono immersi nel digitale: la loro infanzia e adolescenza sono drasticamente differenti da quelle delle generazioni precedenti. Non dobbiamo necessariamente demonizzare i social e il web, ma dobbiamo confrontarci con essi e prenderne consapevolezza, cercando di capire quale impatto hanno sulla realtà quotidiana dei nostri giovani.

Nel suo recente libro “Allenare alla vita” (Mondadori), l’autore si interroga su chi sia l’allenatore. È un adulto, un maestro nell’arte delle relazioni e delle procedure, capace di guidare i giovani lungo un percorso sfidante che svela il loro potenziale inespresso. Invece di avere genitori iperprotettivi, i giovani hanno bisogno di sperimentare anche difficoltà e disagi, senza avere costantemente una rete di sicurezza.

Si tratta del peccato del secolo: eliminare la sofferenza.

“Concordo su questo pensiero. È esattamente ciò che abbiamo dedotto dalle poche parole di Riccardo, riportate sui giornali. Ha sperimentato un dolore intenso e ha cercato di liberarsene con un atto orribile. Ha rivelato di aver provato questo dolore “per alcuni giorni”, come se fosse arrivato all’improvviso nella sua mente, senza essere in grado di gestirlo. Durante l’adolescenza, non è raro avere pensieri difficili, chi non li ha mai avuti? In questo caso, sembra che sia mancato l’abilità di riflettere sulle conseguenze e sulle implicazioni etiche. Un distacco dalla realtà, arrivato solo un minuto dopo l’evento tragico”.

Se non mi riconosco, mi sento fuori luogo ovunque?
“Sì e Riccardo lo ha confermato: si sentiva scomodo a scuola, negli sport, in famiglia e tra gli amici. È un senso di derealizzazione e depersonalizzazione. Dovremmo iniziare a domandarci cosa succede nelle relazioni tra coetanei. Perché sembra che, soprattutto nei maschi, la quantità e la qualità del discorso siano compromesse”.

Siamo ancora nell’era in cui l’uomo non dovrebbe mai mostrare le sue debolezze?
“C’è una notevole differenza tra maschi e femmine. Specialmente nei maschi che si ritirano socialmente – dalla scuola, dalle relazioni, dal mondo – vediamo quanto sia difficile aiutarli, quanta resistenza incontriamo. Da uno specialista dell’età evolutiva, come me, le ragazze vengono più frequentemente. Quando un ragazzo arriva, di solito è stato costretto a venire e di solito si presenta con la madre, non con il padre, che eventualmente può non credere completamente nell’importanza di un percorso di supporto”.

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