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Champions League: l'importanza di chiamarsi… Barcellona


1989.
Viaggio con padre e madre, e pure il barista della piazza che ama la musica anni ’60. In Fiat 127 da Milano a Lloret de Mar, lunghe fila di auto rossonere, suoni e colori come a San Siro al confine tra Italia e Francia. Due corna al cielo e lo sguardo al casellante: stiamo arrivando! Milan contro Steaua, non si può perdere contro ‘sti figli di Ceausescu, eppoi a Barcellona siamo in 90mila, il trionfo.

Fossa, Brigate e tutta la curva, gli striscioni come a San Siro, ma è ancora più bello. “Alza la coppa, Baresi alza la coppa”. Perché Gullit e Van Basten hanno già piegato le mani di Ducadam. Il Nou Camp ci fa festa, tra l’azulgrana e il rossonero non c’è differenza, specie dopo le cinque pappine rifilate al Real Madrid che da queste parti han fatto godere a più non posso.
1994. I miei nell’altra stanza. Milan-Barcellona ad Atene. Io in camera mia a pregare. Non ci credo ma va bene lo stesso. Il giornale del giorno con la faccia di Cruyff che sembra quella di Mourinho adesso. E poi ci pensa Massaro, sempre lui. Ma non basta. Ascolto Pizzul come in un sogno, un godimento, un orgasmo senza fine: Savicevic prende palla, punta la porta “e poi segna un gol incredibile, strepitoso”. Primo piano sulle ‘maschere’ della panchina catalana: “E Cruyff ha perso molta della sua baldanza della vigilia”. Piango. Il Milan mi ha regalato un’altra notte rossonera, di magia e di cuore.

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