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Cassina, una maglia per Milano

Milano avrà il suo Museo dello Sport entro la fine del 2011. E proprio nei giorni scorsi Igor Cassina, che ha annunciato il proprio ritiro, ha deciso di donare al Museo dello Sport di Milano la t-shirt indossata nel riscaldamento e nei minuti prima che salisse sull’attrezzo ai Mondiali di Londra 2009, in cui ha conquistato la medaglia di bronzo. È stata l’occasione per ripercorrere la sua carriera e le sue emozioni grazie anche a questa intervista realizzata nell’occasione.
Come mai hai scelto la ginnastica e quando hai capito che poteva essere il tuo futuro?
«Quando avevo 5 anni ho praticato il judo per pochi mesi. Successivamente ero talmente vivace che non riuscivo a tenere il kimono, così hanno deciso di farmi seguire le orme di mia sorella Mara che praticava ginnastica artistica. Non avevo neanche 6 anni, mi sono appassionato e così ho continuato».

In che momento hai capito che stava diventando o era diventata la tua carriera?
«A 14 anni ho vinto il mio primo Campionato Italiano tra gli junior, ed è stata quella gara che mi ha fatto capire che se avessi continuato a impegnarmi come stavo facendo, avrei avuto la possibilità di fare quel salto di qualità e quindi affermarmi anche in campo internazionale».
Nel 2004 la consacrazione della tua carriera con l’oro olimpico ad Atene. Qual è stato il momento più emozionante: prima dell’esercizio, dopo o quando sei salito sul podio per la medaglia?
«Con la medaglia d’oro ad Atene alla sbarra ho coronato il mio sogno. Sono tanti i momenti che mi hanno regalato una bellissima emozione. Ricordo la tensione prima dell’esercizio:  si sa, la ginnastica è uno di quegli sport in cui la performance dura meno di un minuto, quindi in quei pochi secondi devi cercare di mettere a frutto tutto quello che hai fatto in tanti anni e tante ore di preparazione. Durante l’esercizio scattano quegli automatismi che devono scattare per far sì che un esercizio possa uscire nel migliore dei modi. Nei secondi successivi, ho visto il punteggio – 9,812 – e il mio nome in alto sul tabellone luminoso; un’emozione unica, incredibile, come quando, sul podio, ho sentito l’inno d’Italia e mi hanno messo la medaglia al collo, con davanti una folla che acclamava il mio nome ed esultava per la mia vittoria. Se però proprio devo scegliere il Momento, quello con la M maiuscola, è sicuramente il mio ritorno a casa. Soltanto una volta rientrato, mi sono reso conto di quello che avevo combinato. Le immagini mi passavano davanti veloci: gli inizi a 6 anni, il sogno di diventare un campione mentre davanti alla tv ammiravo quelli che già lo erano, quel 23 agosto quando ho stretto l’oro e il rientro a Milano, con la gente che iniziava a fermarmi e a farmi i complimenti.  Lì ho iniziato a metabolizzare quanto era accaduto. È un’emozione che continua a vivere dentro di me: anche quando vado a parlare nelle scuole ai ragazzi, racconto la mia vita di atleta e di uomo, e quando arrivo all’Olimpiade 2004 mi trovo sempre a ripetermi: “Ci sono riuscito veramente”».
Sei entrato nella storia della sbarra ancora prima di vincere la medaglia d’oro, con il famoso “movimento Cassina”. Ci spieghi cos’è?
«Prima di tutto è il movimento  che mi ha dato la possibilità di raggiungere questi bellissimi risultati. Se sono arrivato ai massimi livelli del mio sport, devo dire grazie alla mia famiglia, che mi ha sempre appoggiato, e ai miei allenatori, in primis Maurizio Allievi, che mi ha sempre seguito fin da piccolo. È stato lui a trasmettermi la passione e a farmi capire l’arte di questo sport, ed è stato insieme a lui che ho studiato ed elaborato questo movimento, che consiste nell’eseguire un doppio salto sopra la sbarra con le gambe tese, aggiungendo anche un avvitamento di 360 gradi sull’asse longitudinale, e riprendere poi l’attrezzo. L’ho effettuato per la prima volta nel 2001, in occasione dei Campionati del Mondo a Ghent, in Belgio, è riuscito ottimamente e presentando un’innovazione è stato riconosciuto dalla Federazione internazionale come movimento nuovo. Da quel momento è entrato nei punteggi con il mio nome! Una grande soddisfazione per quanto fatto e per aver contribuito a scrivere una tappa della storia di questo sport».
Ora c’è qualche tuo collega che lo fa? E lo reputi bravo quanto te?
«Dal 2001 sono passati diversi anni prima che qualche atleta a livello mondiale riuscisse a presentare questo movimento, perché comunque è molto complesso. Ci sono due-tre atleti a livello mondiale che l’hanno presentato e lo presentano da due anni a questa parte nelle competizioni più importanti. Non può che farmi piacere. È motivo di soddisfazione o orgoglio quando  il cronistancommentando un esercizio e quel movimento pronuncia il mio nome. È un qualcosa che rimarrà nel tempo. Complimenti a loro, perché lo eseguono bene. Ovviamente, però, io lo faccio in un modo particolare!».
Possono superare il maestro?
«Speriamo di no (ride, ndr), anche se la concorrenza aumenta, i giovani incalzano. È una ruota che gira: quando io ero giovane, lottavo con quelli più grandi e poi li superavo.»
Hai appena annunciato il tuo ritiro. E ora che succede?
«Mi sono laureato in Scienze Motorie a Milano un anno fa. Mi piacerebbe rimanere nel mondo dello sport. Mio papà, che come quasi tutti i brianzoli ha un’azienda nel settore del mobile – sono nato a Meda – vorrebbe che seguissi le sue orme, ma io sono cresciuto nello sport e la ginnastica mi ha regalato le più belle soddisfazioni della vita. Mi piacerebbe trasmettere quello che io ho appreso ai più piccoli e impegnarmi per promuovere al meglio il mio sport. Con la Federazione e magari anche con il CONI si cercherà di trovarmi un ruolo perché io possa fare qualcosa di pratico per pubblicizzare al meglio una disciplina che, credo, merita tantissime attenzioni. Oggi tutto è orientato sul business, quindi cercherò di far diventare un business anche la ginnastica».
Dietro di te c’è qualcuno?
«Ci sono giovani promettenti. L’unico problema, se si può definire problema, è che il nostro è uno sport a lunga distanza. Si inizia da piccoli, dai 5 ai 7 anni, e prima che possano arrivare buoni risultati è necessario aspettare almeno un’età che va dai 20 ai 22 anni. La maturazione del ginnasta nel settore maschile si spinge fino a 30 anni. È uno sport in cui la maturazione mentale vale quanto o di più di quella fisica. Certo, ci sono anche i talenti, che magari a 18 anni diventano già Campione del Mondo, ma sono eccezioni».
Come per Coppi fu coniata la famosa frase: un uomo solo è al comando, la sua maglia è biancoceleste, si chiama Fausto Coppi. Per te Andrea Fusco, commentatore RAI, in occasione di Atene 2004, disse quella frase straordinaria: guardatelo bene  ha un aspetto umano ma è un punto esclamativo pervaso di energia venuto dallo spazio, si chiama Igor Cassina. Che effetto ti ha fatto e ti fa sentire quella frase?
«Andrea è un amico. Come commentatore sportivo ha sempre seguito le nostre imprese sportive, come amico ci è sempre stato vicino, con grandissima emozione.  Quando, tornato a casa, ho sentito il commento mi è venuta la pelle d’oca. Mi ripetevo: caspita, mi sono meritato un commento così strepitoso? Credo che sia, e non perché sono il diretto interessato, una delle frasi più belle, più corpose e più vive, capaci di far capire un’impresa straodinaria. Complimenti a lui e speriamo di sentire ancora commenti così belli».
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