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Milano Welcome Center: una realtà complessa nell’accoglienza dei migranti

Un’analisi che sfida le narrazioni comuni sull’accoglienza dei migranti a Milano.

Diciamoci la verità: il Milano Welcome Center, inaugurato a novembre 2024, è diventato un simbolo della ‘buona’ accoglienza in Italia. Ma cosa c’è realmente dietro a questa facciata di solidarietà? Con centinaia di accessi quotidiani, è facile farsi prendere dall’illusione di un sistema funzionante. Tuttavia, i dati e le storie che emergono da questo centro ci raccontano una realtà ben più complessa e, oserei dire, inquietante.

Il fenomeno migratorio: numeri che non mentono

Nel giro di pochi mesi, il Milano Welcome Center è diventato un punto di riferimento per migranti e rifugiati. Nei primi sei mesi del 2025, sono stati registrati circa 950 accessi al mese, con 2.348 nuovi utenti. Ma chi sono questi utenti? La maggior parte proviene da Paesi come Egitto, Perù e Bangladesh, e la fascia d’età predominante è quella tra i 25 e i 44 anni. Dobbiamo chiederci: cosa spinge queste persone a cercare rifugio in un contesto che, spesso, non offre le garanzie che ci si aspetta?

Le richieste più comuni riguardano il ricongiungimento familiare, corsi di lingua e consulenza legale. Ma i dati mostrano anche un altro aspetto scomodo: il 93% degli accessi avviene senza appuntamento, il che evidenzia una gestione caotica e una mancanza di programmazione. È evidente che il sistema è sotto pressione e che le risorse, pur essendo abbondanti in termini di personale, non sempre riescono a soddisfare le necessità di chi si trova in una situazione di vulnerabilità.

Operatori e sfide quotidiane

Parliamo di oltre sessanta operatori, tra mediatori culturali, assistenti sociali e psicologi, che lavorano incessantemente per rispondere alle necessità dei migranti. Ma è sufficiente questo numero a garantire una risposta efficace? Il re è nudo, e ve lo dico io: il supporto, per quanto importante, si scontra con una realtà di richieste spesso superiori alle soluzioni offerte. La precarietà della situazione è palpabile e non possiamo ignorarla.

Inoltre, la crescente domanda di servizi di supporto psicologico mette in evidenza un altro aspetto della crisi migratoria: il trauma. È fondamentale considerare che molti di questi individui arrivano con storie di sofferenza e perdita, eppure la risposta che ricevono è spesso superficiale. Abbiamo davvero le strutture adeguate per affrontare una crisi di tale portata? La risposta, purtroppo, è complessa e, in molti casi, negativa.

Conclusioni che disturbano

In conclusione, il Milano Welcome Center rappresenta una faccia della medaglia dell’accoglienza, ma non possiamo permetterci di fermarci a questa superficie lucida. La realtà è meno politically correct: i dati mostrano una gestione al limite delle capacità, un’accoglienza che spesso si traduce in un’accettazione superficiale delle problematiche. Non possiamo semplicemente applaudire a questa iniziativa senza criticarne i limiti e le mancanze.

Invito tutti a riflettere su ciò che significa davvero accogliere. È un semplice atto di apertura o implica una responsabilità più profonda? La vera sfida non è solo accogliere, ma garantire un futuro dignitoso e sostenibile a chi cerca rifugio. Solo così potremo dire di aver fatto davvero la nostra parte.

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