Ci sono pure le magliette del Milan campione d'Europa esposte sulle bancarelle che stazionano fuori dall'Alcatraz in attesa del concerto milanese di Chris Cornell.
Atene, infatti, è ancora dietro l'angolo in questo caldissimo pomeriggio meneghino in cui il rilassato frontman americano – giusto poche ore prima del suo show – ha deciso di raccontarci del suo nuovo album solista 'Carry On' (in uscita il 25 maggio) e di una carriera decisamente proiettata oltre i gioghi dell'artista hard-rock.
Peccato però – che tra Soundgarden, Temple Of The Dog e gli stessi Audioslave – Chris non sia stato solamente uno degli “urlatori” più apprezzati degli anni Novanta e di inizio Millennio. Forse, col tempo, è diventato pure un Simbolo.
Sicuramente un personaggio imprescindibile. Ma niente da fare, il neo-papà Cornell (diviso tra Los Angeles ed il suo ristorante parigino) ha voglia di voltare pagina. E di tracciare un solco (sigh!) tra lui e l'ex-collega Tom Morello… Ascoltiamolo.
Allora Chris, a otto anni dal tuo precedente album 'Euphoria Morning' e con in mezzo la non sempre felice esperienza con gli Audioslave, com'è stato tornare a fare l'artista solista?
“Vuoi la verità? Non mi sono mai sentito così bene e realizzato come in quest'ultimo periodo…”.
Forse perché sei finalmente riuscito a realizzare un LP come piace a te? 'Carry On' suona persino funky-soul in certe sue parti, non è metallico e “urlato” come in precedenza…
“Fortunatamente quando ti lanci in un solo-project, non devi renderne conto a nessuno: ecco spiegato perché quest'album ha un'anima così eterogenea e multiforme. Negli ultimi Audioslave purtroppo questo non era più realizzabile. Sai, Tom Morello (nuovamente tornato a suonare la chitarra per i Rage Against The Machine, Ndr) ed io non abbiamo mai avuto molti gusti in comune: lui adora Springsteen, ovvero un artista che a me non dice nulla, e destesta i Beatles. Mentre io ho sempre ritenuto Lennon& McCartney i numeri uno…”.
Se i rapporti erano questi, chissà allora cosa avrà pensato Morello ascoltando la tua stranissima cover di 'Billie Jean', il classico di Michael Jackson presente sul disco…
“Onestamente non ne ho idea e nemmeno mi interessa (detto con tono un po' infastidito, Ndr)”
Come mai la scelta di lavorare con il noto produttore Steve Lillywhite? Lui viene dagli anni Ottanta e ha un sound molto “epico” nel suo DNA… Non è esattamente un Brendan O' Brien della situazione che invece predilige atmosfere più calde e “chitarrose”…
“Beh, prima di iniziare le registrazioni di 'Carry On', la casa discografica mi ha fornito una lista di papabili produttori e tra questi c'era pure il suo nome… Mi sono detto: ok, perché no? In fondo Lillywhite ha già inciso dischi di artisti che ammiro tantissimo come U2, XTC, Ultravox, Siouxsie And The Banshees… E poi, particolare importante, non è assolutamente un producer di estrazione metal (ride sotto i baffi, Ndr)! Questo CD avrei pure potuto realizzarlo in completa solitudine però, allo stesso tempo, non mi andava di stare lì a scegliere quale fosse l'assolo più esaltante o la performance migliore del lotto; così ho delegato il tutto a Steve…”.
Come è andata invece la storia di James Bond? Cornell che scrive il tema di un film di 007 – nella fattispecie il singolo 'You Know My Name' per la soundtrack dell'ultimo 'Casino Royale' – è una di quelle cose che non ti aspetteresti mai…
“E' stato un matrimonio perfetto sin dal primo momento, una combinazione ideale. Quelli della Sony Pictures mi hanno chiamato un giorno proprio su questo telefono (mi mostra il suo cellulare, Ndr) e mi hanno detto di essere alla ricerca di una voce che non fosse troppo rock o che sfoggiasse tatuaggi sul collo (ride, Ndr)! Mi sono sentito la persona giusta per quell'incarico. Anche perché, così facendo, ho potuto conoscere l'attore Daniel Craig (sicuramente il Bond più perfido dell'intera saga, Ndr) di cui sono un grandissimo ammiratore”.
Avevi già delle canzoni preferite tra tutte quelle che sono state scritte per l'agente segreto più famoso del globo?
“Beh, in cima al podio metto sicuramente 'Live And Let Die' degli Wings; e a seguire direi 'Goldfinger' e 'Diamonds Are Forever' di Shirley Bassey, oltre a 'Thunderball' di Tom Jones!”.
Quanto sei ancora legato al tuo passato dato che nei tuoi recenti spettacoli dal vivo hai eseguito brani come 'Jesus Christ Pose' dei Soundgarden e la toccante 'Hunger Strike' dei Temple Of The Dog…?
“Ovviamente sento quelle canzoni ancora mie ma in maniera diversa rispetto agli anni scorsi… Diciamo che esse sono cresciute e maturate assieme a me, restando sempre molto eccitanti. Prendi singoli minori dei Soundgarden tipo 'Burden In My Hand' o 'Pretty Noose' che canto praticamente ogni sera: all'epoca (1996, Ndr) non ebbero tutto il successo che in realtà si sarebbero meritati, ma restano tuttora dei pezzi fantastici…”.
Come scegli i pezzi da inserire nella set-list?
“Svolgendo attività banali, tipo guidare la macchina… A volte mi torna in mente una canzone e penso quanto sarebbe bello eseguirla live… Ma, a parte questo, il mio sogno resta un altro: mi piacerebbe variare concerto sera dopo sera. Una notte presentarmi con un repertorio aggressivo e la data successiva magari venirmene fuori con uno spettacolo intimo, quasi unplugged… Magari in futuro ci riuscirò”.
Nel 1992, all'epoca del sensazionale 'Badmotorfinger' dei Soundgarden, dichiarasti che il rock non se la stava passando troppo bene… Ehm, non oso immaginare quale sia la tua idea passati altri quindici anni…
“Uhm, a quei tempi venivamo da sette/otto anni di musica completamente 'indipendente' e sentivamo, come Soundgarden, che qualcosa si stava un po' sfilacciando riguardo alla famosa 'scena di Seattle': chiamala disillusione, se vuoi… Oggi, invece, con l'arrivo di MySpace e YouTube si è tornati a un modo più organico e 'punk' di proporre musica. Senza fare nomi, ci sono decine di gruppi nel 2007 che stanno riportando il rock ad una dimensione più anarchica e sperimentale. Ed io ne sono felicissimo…”.
Chiudiamo proprio con la leggendaria Seattle, dato che l'hai citata tu stesso. Dunque, dai quei primi anni Novanta, Kurt Cobain (Nirvana) e Layne Staley (Alice In Chains) sono morti, Mark Lanegan (Screaming Trees) è sopravvissuto per miracolo, tu hai avuto i tuoi alti e bassi…
“Ok, so già cosa stai per chiedermi…”.
Infatti… Ma per fare ottima musica è davvero necessario soffrire così tanto?
“No. Non bisognerebbe mai soffrire per alcunché, ma mi rendo conto che non è facile. Il segreto penso che risieda nel non dare troppo importanza a ciò che si fa. Tanto alla fine è sempre il pubblico ad avere l'ultima parola… Ecco perché, durante gli anni di Seattle, non me ne è mai fregato nulla di essere un'icona o di cercare a tutti i costi il conflitto interiore. Giusto per farti un esempio: Scott Weiland, ai tempi del primo album degli Stone Temple Pilots, agiva proprio così. Io no”.