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Donna con il burqa respinta all'ingresso del tribunale ma sotto il velo si nasconde una giornalista di Repubblica

Passeggiando per Milano non è insolito incrociare donne con il velo, soprattutto in quei quartieri popolati per lo più da appartenenti alla comunità islamica. Più raro invece il niqab, il velo che copre viso e testa lasciando scoperti solo gli occhi e che di questi tempi desta così tante polemiche .

E a proposito di velo integrale, ha fatto notizia il tentativo di una donna con il burqa di accedere al Palazzo di Giustizia di Milano.

Il Giorno ha narrato così la vicenda:

"Indossava il velo che lasciava scoperti solo gli occhi, il niqab, e poichè il suo volto non era visibile, le è stato negato l’ingresso al Palazzo di Giustizia di Milano. E’ accaduto nel pomeriggio nei pressi di una delle entrate secondarie del tribunale. Una donna, con perfetto accento italiano, ma di religione islamica, verso le 16:00 si è presentata con una lunga tunica nera sopra il cappotto e il velo da cui si intravedevano solo gli occhi, dicendo che sarebbe dovuta andare a controllare l’esito di un processo in una delle tante cancellerie. Gli addetti alla sicurezza però l’hanno fatta attendere ed hanno chiamato uno dei carabinieri in servizio nella cittadella giudiziaria milanese il quale ha spiegato alla donna che, essendo il Tribunale un luogo pubblico, avrebbe dovuto entrare col volto scoperto in quanto, come prevedono le leggi di pubblica sicurezza, le persone che accedono al palazzo di giustizia devono essere visibili in volto".

La donna senza fare obiezioni se ne è andata, così informano Il Giorno, Cronaca Qui e persino Il Fatto Quotidiano che dedica alla vicenda un piccolo trafiletto. 
Il vicesindaco De Corato interrogato sulla vicenda – come riporta Il Giorno – ha spiegato: "Non si tratta di vietare un simbolo religioso, visto che il burqa non lo è; né si tratta di offendere gli usi della maggior parte dei musulmani, visto che le donne che indossano burqa e niqab sono ad oggi una minoranza".
Un episodio simile sarebbe destinato a sollevare un polverone, soprattutto sotto campagna elettorale, se non fosse che la "donna velata con perfetto accento italiano ma di religione islamica"  non è altro che una giornalista di Repubblica sotto mentite spoglie.

Repubblica titola: "Una giornalista di Repubblica racconta la sua giornata nelle strade della città tra curiosità, divieti fino all'allontanamento degli uffici comunali: Io dentro il burqa nelle strade di Milano".

La giornalista in questione, Zita Dazi, dopo essersi fatta prestare un burqa dalla moglie di un imam della moschea di via Quaranta, ha passeggiato per il centro della nostra città vagliando le reazioni dei passanti, dei negozianti, dei bibliotecari fino al clamoroso ingresso negato al Palazzo di Giustizia:
"Proseguo per la mia strada e arrivo davanti alla grande mole del Tribunale. Mi chiedo quali saranno le disposizioni di sicurezza. Domando a una guardia giurata. Mi indica l'ingresso laterale di via Freguglia. Provare, anche se vedo gli sguardi preoccupati delle persone che incrocio sulle scale. Appena dentro, le guardie all'ingresso si allarmano. Con la massima gentilezza, mi spiegano tutto quel che devo fare. La borsa nella macchina dei raggi X, le tasche da svuotare, il passaggio sotto un altro metal detector. La fibbia della cintura fa suonare l'allarme e quindi vengo sottoposta a un'altra ispezione con lo scanner manuale. "Tutto a posto, signora. Sì, la cancelleria è aperta, ma deve attendere ancora un momento", mi dicono. Li sento comunicare al telefono con qualcuno a cui chiedono: "C'è qui una signora col burqa. Ha fuori solo gli occhi. Che devo fare?". La donna integralmente velata, anche se parla bene l'italiano e se ha qualche capello biondo che sfugge da sotto il niqab, inquieta. Mi spiegano: "Ci scusi, dobbiamo farla aspettare. Deve parlare con chi ha emesso il "provvedimento"". Dopo circa un quarto d'ora arriva un comandante dei carabinieri, che con tono severo mi apostrofa: "Lei, esattamente, che cosa voleva fare?". Spiego che volevo avere copia di alcuni atti processuali che mi riguardano. Il comandante è lapidario: "Bene. Se vuole quegli atti deve venire un'altra volta e farsi identificare. Comunque deve venire senza velo. Perché così è come se lei mi chiedesse di accedere agli uffici con un casco integrale in testa". Ringrazio e saluto".
Svelato il mistero della "donna velata con perfetto accento italiano ma di religione islamica" permetteteci una sonora risata… – rimane l'eterno dilemma se sia giusto o meno negare l'ingresso agli uffici pubblici a donne con il niqab.

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