Appassionato sin da bambino di arte e disegni, intorno ai 15 anni ha iniziato a dipingere graffiti, studiando e grafica e diventando poi a tutti gli effetti un illustratore.
Dario Maggiore, che non ama definirsi “un artista” si è raccontato a Notizie.it | Milano parlando della sua carriera e del suo lavoro.
Di recente hai fatto un’opera da frate cistercense, la mappa di Milano con tutti i luoghi principali da dove è nata e proliferata la scena punk e hard core punk. Un atto d’amore verso la nostra città?
Sì vero. Era da diverso tempo che avevo in mente di farla.
Da qualche anno sto in fissa con le “guide”. Ne ho fatte anche altre a tema punk/musica, tipo una guida di sopravvivenza ai tour e un piccolo decalogo del “hardcorer” in chiave ironica oltre ad un più noto disegno dove ho rappresentato The New Zabriskie Point di Stiv Valli, un negozio di dischi fondamentale per la “scena” punk milanese, durante uno dei tipici sabati pomeriggio di metà anni ’90, periodo di grande fermento della Milano punk-hardcore.
La mappa non è solo amore per la mia città. È l’amore per tutto un ambiente e delle persone che hanno sempre creduto, che hanno sempre resistito, che si sono battuti e sofferto per il movimento. È un documento che vuole arrivare nei cuori di chi ama Milano ma non conosce o (causa pregiudizi) ha sempre voluto evitare questa versione alternativa, complice forse qualche punkabbestia incontrato sul tram o in mezzo al marciapiede.
La Milano punk non era (solo) quello. Anche io che non ho mai fatto parte di collettivi dei centri sociali e che ho fruito degli stessi solo come spettatore o come musicista sul palco, posso dire che c’era un clima unico.
Purtroppo ora non partecipo quasi più alle iniziative e ai concerti. Famiglia, tempo e età mi hanno allontanato parecchio, ma i miei ricordi mi tengono strettamente legato alla musica e a tutti quei concerti e quelle serate che sono state parte della mai formazione culturale.
Sei un artista, per usare un termine banale, underground, quando hai iniziato?
Negli ultimi due anni ho imparato che il termine “artista” è troppo vago. Io non sono un artista.
Nello specifico sono un illustratore e ho iniziato molto presto. Ho sempre disegnato ispirato da mio fratello Mayo che studiava come grafico pubblicitario al Kandinsky a Gratosoglio, ma le prime cose serie, con la consapevolezza di quel che stavo facendo, sono arrivate attorno ai miei 15/16 anni quando ho iniziato a dipingere graffiti (con scarsissimi risultati su muro – ma avevo uno degli sketchbook più belli della crew!).
Sempre continuando a disegnare ho studiato grafica e iniziato a fare qualche lavoretto.
Ho quasi sempre lavorato nel campo musicale indipendente realizzando merch per bands, copertine di dischi e grafiche per concerti.
Tuttavia sei anche molto trasversale ed infatti lavori in una blasonata galleria d’arte in via Brera, che differenze trovi tra i due mondi, arte indipendente e arte ufficiale?
Sì, vero anche questo. Da quasi due anni lavoro in una galleria in Brera, la Galleria Consadori. Da quando ho iniziato a lavorare con Annamaria (titolare e figlia del pittore Silvio Consadori) ho imparato più di quanto avessi appreso anni prima a scuola durante le lezioni di storia dell’arte.
Ho sempre odiato studiare ma sono uno che impara moltissimo sul campo. Certo, a detta sua, dopo due anni continuano a mancarmi le basi, ma ce la metto tutta ad imparare il più possibile.
Le differenze tra i due mondi? Moltissime. Non solo ovviamente dal punto di vista estetico. Cambia l’approccio nel concepire e capire l’arte oltre al modo di comunicare e il messaggio.
Faccio un esempio: la stampa d’arte viene considerata pochissimo nel mondo dell’arte ufficiale mentre nell’arte indipendente, il multiplo è un oggetto da collezione considerevole.
Probabilmente perché pochissimi artisti del circuito “punk” vendono i disegni originali e quasi nessuno ha una quotazione nel mercato dell’arte ufficiale. La dura realtà è che forse il mercato sta cambiando e c’è pochissimo ricambio generazionale oltre al fatto che moltissimi giovani non hanno la cultura, interesse o budget per poter apprezzare e acquistare un’opera degli anni ’30 ad esempio.
Cosa totalmente differente nel mercato indipendente della poster-art dove manifesti di concerti di bands più o meno note, godono di maggior interesse e vendite. Ovviamente, costano meno! C’è da dire che gli artisti indipendenti, specialmente quelli che disegnano, sono piuttosto autoreferenziali. Difficilmente escono dagli schemi e si rifanno per lo più ad artisti contemporanei famosi e a tecniche già sperimentate nel secolo scorso. Penso sia solo per colpa dei social network e della gara a fare la cosa più “alla moda”.
Forse da questo punto di vista, l’arte ufficiale è più pura. Molti artisti sono talmente narcisi da non rendersi conto che senza volere hanno già copiato qualcun altro.
Prima ho parlato di poster art ma sono stato un po’ riduttivo perchè in effetti ti occupi di più cose: custom, illustrazione, poster art, suonavi in una famosa band hard core, organizzi mostre…raccontaci un po’ come colleghi queste cose e se pensi che essere di Milano per tutto ciò abbia dei vantaggi?
Ho sempre fatto mille cose.
Non sono uno che sa stare fermo anche se adoro poggiare il sedere sul divano. Ma ho il cervello che viaggia a volte più veloce del tempo che ho a disposizione. Negli anni ho fatto veramente tutto perché mi piace provare a fare cose nuove. Oltre alle varie discipline artistiche legate al disegno, ho suonato per moltissimi anni hardcore con La Crisi, una band fondata da mio fratello nel 2003 della quale io sono insieme a lui former member dal primo giorno.
Abbiamo smesso di suonare nel novembre del 2017 annunciando sul palco del Cox18 in via Conchetta, il nostro scioglimento. Dal 2014 invece organizzo Filler, una convention di illustrazione che si tiene a Milano, dedicata alle autoproduzioni e agli artisti del circuito punk. Questo perché secondo me il circuito indipendente va valorizzato. Ci sono ragazzi e ragazze davvero incredibili, geniali e capaci ed è un peccato non promuoverli.
Di festival analoghi a Filler ce ne sono, anche a Milano ma sono svolti in contesti probabilmente troppo punk, non facili per chi non ha confidenza con l’ambiente.
Filler invece viene fatto in contesti più “mainstream” volutamente per avvicinarsi ad un pubblico più trasversale ed eterogeneo che, spesso sono più curiosi e interessati a supportare gli artisti coinvolti nella manifestazione.
Come affronti propositivamente la quarantena?
Sono a casa anche io. La Galleria abbiamo deciso di tenerla chiusa già prima del decreto che impone la chiusura a tutte le attività non necessarie.
Sto tutto il giorno con i miei due bimbi, Jacopo e Carlotta di 6 anni e mezzo.
Ovviamente sono in pensiero, specialmente per loro che non hanno ancora gli strumenti per capire a pieno e metabolizzare la cosa. Per loro è una sorta di vacanza prolungata, con i compiti da fare e tanto gioco. Difficilmente ci si annoia in casa mia perché essendo in due si fanno compagnia, giocano col cane e il gatto, stanno in giardino e fanno lavoretti.
I miei figli, tra l’altro, sono estranei ai cellulari e ai tablet quindi, avendoli cresciuti totalmente in maniera “analogica”, passano ore a disegnare, giocare col Lego, leggere e recentemente ho rispolverato il mio vecchio Subbuteo, costruendo un campo bellissimo sulla quale ci facciamo qualche partita.
Resistiamo alla “vecchia maniera” insomma. Personalmente cerco di ritagliarmi momenti per fare le cose che mi piacciono di più come, ad esempio disegnare; ma non è facile. Bisogna tenere duro ancora un pò.