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Il Leoncavallo sgomberato: una ferita per Milano o un passo verso la legalità?

Lo sgombero del Leoncavallo ha acceso un acceso dibattito in città, tra chi difende la legalità e chi lamenta la perdita di uno spazio culturale fondamentale.

Lo sgombero del centro sociale Leoncavallo, avvenuto il 21 agosto 2025, ha sollevato un polverone di reazioni, mettendo in luce le contraddizioni di un’Italia che sembra sempre più spaccata tra legalità e cultura. Diciamoci la verità: mentre il governo si atteggia a paladino della legge, molte voci si levano in difesa di uno spazio che, per decenni, ha rappresentato un faro per la socialità e la creatività. La realtà è meno politically correct: siamo a un bivio, e le scelte che stiamo facendo ora avranno ripercussioni durature nel tempo.

Le operazioni di sgombero: un atto di legalità o un attacco alla cultura?

Secondo quanto riportato dalla Prefettura, l’immobile in Via Watteau 7 era occupato abusivamente dal 1994. Nonostante numerosi tentativi di sgombero da parte delle autorità, la situazione era rimasta in stallo per anni. Ultimamente, la Corte di Appello di Milano ha condannato il Ministero dell’Interno a risarcire oltre 3 milioni di euro alla società proprietaria, sottolineando l’urgenza di risolvere una questione che andava avanti da troppo tempo. Ma chi ha davvero vinto in questa storia? È difficile dirlo, e le risposte non sono mai semplici.

Da un lato, i sostenitori del governo esultano per il ripristino della legalità, come affermato da Letizia Moratti, presidente di Forza Italia, che ha definito lo sgombero come un passo necessario per chiudere una lunga stagione di tolleranza verso l’illegalità. Dall’altro lato, le voci di dissenso si moltiplicano, lamentando la perdita di uno spazio che ha dato voce a centinaia di artisti e attivisti nel corso degli anni. Non possiamo ignorare il fatto che il Leoncavallo non era solo un centro sociale, ma anche un vero e proprio laboratorio di idee e creatività.

Reazioni contrastanti: il dibattito si infiamma

Le dichiarazioni di Marina Boer, presidente dell’associazione Mamme del Leoncavallo, esprimono un profondo senso di delusione e amarezza. “Questo è stato un modo di concludere una fase molto brutta e dolorosa,” ha dichiarato, sottolineando come lo sgombero fosse atteso per il 9 settembre, ma sia stato anticipato in un momento di grande tensione. Al contempo, Maurizio Lupi di Noi Moderati ha parlato dell’importanza di restituire l’immobile ai legittimi proprietari, evidenziando le norme del Dl Sicurezza che mirano a combattere le occupazioni abusive. Ma a che prezzo? La questione si complica.

Il Segretario del PD Milano Metropolitana, Alessandro Capelli, ha ricordato come il Leoncavallo abbia rappresentato un tassello fondamentale nella storia culturale di Milano, denunciando la scelta del governo di agire con tale urgenza, mentre altri gruppi di estrema destra continuano a operare indisturbati. Questa contraddizione mette in luce un problema profondo: perché colpire un centro sociale e ignorare altre forme di occupazione più discutibili? È lecito chiederselo.

Conclusioni e riflessioni: il futuro del Leoncavallo

Il destino del Leoncavallo resta incerto. Mentre il governo si compiace di un apparente successo legale, molti cittadini vedono lo sgombero come una ferita profonda per la loro comunità. Quello che è successo non è solo una questione di legalità, ma di identità culturale. Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana, ha sollevato la preoccupazione che il governo stia cancellando spazi di vita, cultura e democrazia, lasciando solo un deserto.

La realtà è che il Leoncavallo ha rappresentato per molti un’alternativa a un modello urbano basato sulla speculazione e sulla mercificazione dello spazio pubblico. La chiusura di questo centro sociale segna la fine di un’epoca, ma non deve essere la fine della storia. È tempo di riflettere su quale tipo di città vogliamo costruire e quale valore diamo alla cultura e alla socialità. Se aspiriamo a una Milano inclusiva e viva, dobbiamo seriamente interrogarci sulle nostre scelte e sul futuro dei nostri spazi culturali.

In conclusione, vi invito a esercitare il vostro pensiero critico. Non possiamo accettare passivamente ciò che ci viene imposto. È il momento di chiederci: quale Milano vogliamo costruire? Una città che celebra la cultura o una che la reprime in nome della legalità? La risposta, cari lettori, è nelle nostre mani.

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