La pandemia di Covid-19 serrava la sua presa sul nord Italia, e i controlli riguardanti il rispetto delle normative anti-contagio erano all’ordine del giorno.
Ma per un uomo di 40 anni, residente a Melegnano, nel milanese, un normale controllo si trasformò in un incubo giuridico. Fermato dai carabinieri mentre guidava per motivi di lavoro, venne informato che risultava positivo al tampone. Una notizia sconvolgente, considerato che non aveva mai effettuato alcun test né mostrava sintomi di Covid-19.
Le sue proteste caddero nel vuoto, e fu denunciato a piede libero.
Ma la beffa non si fermò qui: il seguente anno ricevette una condanna di oltre 7.000 euro per violazione delle leggi sanitarie. Una decisione che colpì duramente l’uomo, già provato dalla situazione. La causa della sua condanna? Un omonimo, nato nello stesso comune e di 15 anni più giovane, che risultava positivo al Covid-19 proprio nei giorni del controllo.
Il processo che ne seguì mise in luce una serie di errori nel sistema.
L’omonimo del quarantenne, infatti, testimoniò di aver contratto il virus in quei giorni, mentre l’imputato non ne era affetto. Si ipotizzò che l’operatore incaricato dell’inserimento dei dati avesse commesso un errore, associando al quarantenne il codice fiscale del suo omonimo più giovane.
Gli avvocati dell’uomo impugnarono la sentenza, portando il caso davanti ai giudici. Ora, mentre il processo è in corso, l’uomo attende ansioso una decisione che potrebbe riabilitarlo dopo mesi di ingiusta accusa.
La sentenza dovrebbe giungere entro l’estate, portando finalmente chiarezza su una vicenda che ha segnato profondamente la sua vita e la sua reputazione.