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Ashkan Khatibi, attore e regista iraniano, ha scelto di trasformare la sua sofferenza in arte. Dopo aver vissuto anni di repressione e violenza in Iran, Khatibi è riuscito a trovare rifugio in Italia, dove ha dato vita a uno spettacolo teatrale che racconta le atrocità subite sotto il regime della Repubblica Islamica. La sua opera, intitolata “Lui”, rappresenta non solo la sua esperienza personale, ma anche una lettera aperta al mondo, un invito a riflettere sulla realtà di chi vive sotto una dittatura.
Il lavoro di Khatibi non è solo un atto di denuncia, ma anche un modo per connettersi con il pubblico. “La verità delle persone che vivono nel Medio Oriente è totalmente diversa da quella di chi vive in Europa”, afferma l’artista. Con il suo spettacolo, Khatibi spera di far comprendere le sfide e le sofferenze che affrontano coloro che vivono in paesi oppressi. La sua arte diventa così un mezzo per sensibilizzare e creare empatia, un ponte tra culture diverse.
Scrivere e mettere in scena “Lui” è stato per Khatibi un processo terapeutico. Durante il suo periodo di isolamento a Istanbul, ha trovato nella scrittura un modo per esprimere il dolore e la rabbia accumulati. “Quando pensavo di non avere speranza, ho deciso di creare qualcosa che potesse raccontare la mia storia”, spiega. La sua opera non è solo un racconto di violenza, ma anche un messaggio di resilienza e speranza per chi ha vissuto esperienze simili.
Khatibi desidera che il suo lavoro possa ispirare altri a trasformare il dolore in creatività.
Oggi, Khatibi vive in Italia, ma il suo cuore è ancora legato all’Iran. “Mi manca la mia gente, ma non riconosco il mio paese attuale”, afferma con tristezza. Nonostante le difficoltà, l’artista guarda al futuro con speranza. “Spero che un giorno l’Iran possa essere libero e che le persone possano vivere senza paura”, conclude.
La sua storia è un potente promemoria del potere dell’arte come strumento di resistenza e cambiamento.