Un pozzo senza fondo.
Questa la crisi senza ritorno di un Milan umiliato a casa propria dal primo Zurigo di passaggio. Z come Zurigo, ma anche Z come zero gol (non) realizzati dall’attacco rossonero. Ma non vorrei correre il rischio di dare addosso a questo o a quel giocatore, cercando un capro espiatorio che, tempo il prossimo (non lontano) rovescio in campionato, sarà prontamente trovato nell’inesperienza tecnico-tattica di Leonardo. Il problema del Milan sta nel manico, in quella società anemica che ha ormai svilito di significato e di passione una squadra che non aveva bisogno di ulteriore gloria per esprimere amore, visto che in cinquantamila l’avevano seguita fino in Serie B, in una partita, pure persa in casa, ma contro la Cavese.
Si dirà, era Serie B, ma io c’ero, e ricordo. Ricordo l’inesperienza, quella sì, di una dirigenza posticcia, che in punta di piedi si susseguiva a ritmi folli e un po’ paesani, dai Duina ai Pardi, dai Lo Verde ai Farina. Storie brutte, alcune comiche. Ma era una favola di popolo, di quelle che si raccontano al bar, fra un bicchiere di vino e un panino con la mortadella. Questo era il Milan, la squadra della gente di Milano, quella dei ‘casciavitt’, che mischia bestemmie alla foto di Gianni Rivera.
Alle bandiere che non cambiano, che non si vendono, e che magari parlano la nostra lingua, giusto per capirsi meglio.
La fine ingloriosa di questa società in doppiopetto invece, dà tanto più fastidio per quanto inutilmente si sia tentato di negarla, cacciando la polvere sotto il letto, con l’orchestrina del Titanic a scivolare sempre più mestamente ma inesorabilmente verso il basso. Questa squadra, ma soprattutto questa dirigenza, ha perso il gusto della dignità, autoproclamandosi ‘più vincente al mondo’, spargendo e spendendo danari senza fine, creando una ‘corte dei miracoli’ che, allo stesso modo che oggi, portò alla scomparsa, nei primi anni ’90, della Polisportiva Milan.
Un gruppo vincente, certo, che portò prima all’innalzamento e poi al dissolvimento di club storici entrati nell’orbita Milan come l’Amatori Milano (rugby), il Milan Baseball (baseball), il Milan Gonzaga (volley) e i Devils (hockey ghiaccio). Allora la cosa passò sotto silenzio. Curiosamente, e abbastanza inevitabilmente, anche allora c’entrava Berlusconi che, dovendo entrare in politica, recise quei rami secchi che non portavano voti e sottraevano risorse economiche.
Allo stesso modo il Berlusconi di oggi non ha più bisogno del Milan che anzi, se continuerà in questo modo, si trasformerà presto in un boomerang.
Di riffa o di raffa, per un po’, pare sia riuscito anche a tenersi buona una curva che pure ha perso molto del suo smalto (lo striscione dell’’amore litigherello’ vale come la sconfitta in casa con lo Zurigo), ma ormai lo sfascio è talmente sotto gli occhi di tutti che è impossibile non reagire. Reagire ai soldi buttati dalla finestra, reagire ai rinnovi di contratto assurdi, ingiustificabili e costosi (Dida e tutta una serie di personaggi che a quest’ora della notte, per loro fortuna, non mi sovvengono), reagire alle campagne acquisti autolesioniste e vissute braccio a braccio con prezzolati ‘esperti’ di mercato (Bronzetti) dopo che a quelli veri è stato dato quasi il benservito, reagire alla mancanza più totale di uno straccio di progetto legato allo sviluppo delle giovanili (quanti giovani hanno esordito in prima squadra per RIMANERCI?), reagire a un costosissimo Milan Lab che i giocatori sembra distruggerli invece che curarli (Borriello, ma non solo), reagire a scelte deliranti su chi debba essere il successore di, badate bene, nell’ordine Liedholm, Cesare Maldini, Rivera, Baresi e Paolo Maldini (mezzo secolo di storia): Ambrosini!, reagire a chi ormai vede nel Milan solamente uno spunto per passerelle politiche, reagire a una curva che ormai non rappresenta più nemmeno sé stessa, reagire a un teatrino dell’orrido che ha rischiato seriamente di mandare questa squadra in Serie B per motivi extracalcistici ma che, se le cose proseguiranno di questo passo, potrebbe riportarcela sul campo.
Allora però, lo ricordo bene, perché io c’ero, c’era la passione della gente a sostenere questa squadra. Ora quell’amore si è perso, ucciso dagli spot pubblicitari di chi ha fatto di questa fede un ricettacolo per un mero tornaconto personale.