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Il dibattito sul fine vita in Lombardia: tra diritti e competenze regionali
Il tema del fine vita continua a suscitare accesi dibattiti in Lombardia, dove la proposta di legge presentata dall’associazione Luca Coscioni è stata recentemente bocciata dalla commissione affari istituzionali e sanità.
La questione si fa complessa, poiché coinvolge non solo il diritto all’autodeterminazione, ma anche le competenze legislative tra Stato e Regioni.
La proposta di legge dell’associazione Coscioni mirava a definire le procedure per accedere al suicidio assistito per i pazienti in condizioni di salute irreversibili. Nonostante il riconoscimento del diritto al fine vita da parte della Corte Costituzionale, la commissione ha espresso parere negativo, sostenendo che la materia rientra nelle competenze statali.
Questo ha sollevato interrogativi sulla capacità delle Regioni di gestire questioni così delicate, che toccano la vita e la morte delle persone.
Le reazioni alla bocciatura della proposta sono state immediate. Carmela Rozza, consigliera regionale del Partito Democratico, ha criticato la maggioranza per aver scelto di non affrontare il merito della questione, accusandola di ignorare le necessità di chi si trova in situazioni di sofferenza.
Dall’altra parte, il centrodestra ha giustificato la propria posizione con la necessità di mantenere la competenza statale su temi così sensibili, presentando una questione pregiudiziale di illegittimità costituzionale.
Attualmente, il sistema sanitario lombardo impiega circa 90 giorni per verificare i requisiti per accedere al fine vita, un tempo che la proposta di legge intendeva ridurre a 20 giorni. Questa disparità di tempi evidenzia le difficoltà che i pazienti affrontano nel cercare di ottenere un aiuto in momenti di grande vulnerabilità.
Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Coscioni, ha sottolineato l’importanza di affrontare la questione con serietà, invitando il governatore Attilio Fontana a garantire i diritti dei cittadini e a non ignorare le richieste di aiuto.
Secondo la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, per accedere al fine vita, un paziente deve soddisfare quattro condizioni: l’irreversibilità della patologia, la presenza di sofferenze intollerabili, la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e la capacità di prendere decisioni consapevoli.
Queste condizioni devono essere verificate dal sistema sanitario regionale, il quale ha la responsabilità di garantire che i diritti dei pazienti siano rispettati.
Il dibattito sul fine vita in Lombardia è solo all’inizio. Le posizioni politiche sono fortemente divise e la questione delle competenze legislative rimane centrale. Mentre alcuni chiedono una maggiore autonomia per le Regioni nella gestione di queste delicate tematiche, altri sostengono che la questione debba rimanere sotto il controllo statale.
In questo contesto, è fondamentale continuare a discutere e a cercare soluzioni che possano garantire i diritti dei cittadini e il rispetto della loro dignità.