Fabio Cesare, 47 anni, è un avvocato fallimentarista che si occupa di impresa e sovraindebitamento.
Proprio quest’ultimo è stato la molla che lo ha spinto a candidarsi al consiglio del Municipio 5 di Milano, quartiere nel quale è cresciuto. “E’ un modo per occuparmi degli altri” ha raccontato nell’intervista a Notizie.it.
Come è nata la scelta di candidarsi per queste amministrative?
Io mi sono candidato per il Municipio 5 perché volevo che il Comune di Milano iniziasse ad adottare gli organismi di composizione della crisi che sono degli strumenti previsti dalla legge per ristrutturare i debiti delle persone fisiche che hanno delle difficoltà.
Visto che non sono riuscito a inserirlo nel programma di Sala nonostante abbia tentato, ho capito che il debito non è un tema sexy per l’elettorato. Ho ritenuto che la lista Sala avesse le mani un po’ più libere rispetto ad altri partiti. Ho conosciuto delle persone e mi sono associato a Elisabetta Genovese e ho scritto un programma che è fatto sia di attività a lungo termine che di attività più concrete.
Famiglia, lavoro. Come pensa di riuscire a coniugare il tutto con il nuovo impegno che vorrebbe prendere con la città e il Municipio 5 in particolare?
C’è la possibilità di delegare al lavoro e magari anche in famiglia perchè penso che l’impegno al Municipio serva per far fruttare dei piani di protezione al servizio dei debitori e delle imprese in crisi.
Siamo in un momento in cui non c’è equilibrio tra povertà e ricchezza. Penso che per i miei figli sia più importante dare un modello di partecipazione condivisa rispetto che guardare un cartone animato tutti insieme perchè questo gli rimarrà per tutta la vita.
Da cittadino di Milano, ma anche da padre, cos’è che proprio a Milano non va?
Io mi sono candidato per il Municipio 5, ma se devo pensare a Milano penso che sia una città meravigliosa, ma che ci sia la necessità di renderla più connessa sotto molti profili.
Milano è forse l’unica città in Italia a premiare la meritocrazia però non si è capito fino in fondo quanto è importante sostenere le persone che hanno un progetto. Bisogna eliminare la burocrazia e i limiti per la crescita. Bisogna andare nelle sacche dove c’è una maggiore resistenza, quelle che sono più lontane dal centro per approfittare della voglia di riscatto di tante persone che sono rimaste indietro. La collettività ne potrebbe beneficiare perché sono tutte energie che possono servire a migliorare.
Per farlo, però, ci vuole una svolta meno radiale, avere una città con più punti di riferimento e lo voglio fare, ad esempio, connettendo la pista ciclabile che dall’Ieo in via Ripamonti si arresta al capolinea del 24 tagliando in due la città dal capolinea di Fatima fino al cavalcavia di Ripamonti. Lì ci sarà una zona riqualificata dal Villaggio Olimpico che dovrà essere unita senza i fastidi del traffico.
Vorrei una città che ampliasse la sua vocazione alla diversità per intercettare le migliori forze creative che oggi vengono chiuse in periferia. E poi sarebbe importante valorizzare le zone più sconosciute, che hanno il loro fascino. Ad esempio nessuno sa che nella zona 5, a Chiaravalle, è nato il Grana Padano.
Altro tema sono gli edifici abbandonati: ne abbiamo circa una ventina che abbiamo tracciato. Bisognerà fare in modo di muoverci per indurre le proprietà a trovare una soluzione perchè non è tollerabile che ci siano dei ricettacoli di degrado.
Quest’ultimo non va combattuto con le sentinelle o le telecamere, ma con iniziative che creino degli anticorpi sociali. Ad esempio dove ci sono dei campi rom o dei parchi con persone che bivaccano e sporcano ho proposto di portare la musica e l’arte facendo venire compagnie teatrali e organizzando delle jam session pubbliche o lasciando degli spazi che i musicisti in erba possono affittare. Non basta pulire i parchi.
Bisogna fare delle operazioni culturali se vogliamo avere sicurezza a lungo termine.
Come è cambiato il Municipio Cinque negli anni?
Dove è bruciata la Torre dei Moro vivevano Mahmood e Morgan. Succede questo: quando in un quartiere arrivano gli artisti a vivere in un quartiere, come a Brera e anche sui Navigli, cambiano le circostanze e iniziano ad arrivare a vivere persone con un certo tenore di vita. Con il tempo il quartiere inizierà a perdere la sua anima, i figli delle persone che ci vivono non saranno più in grado di prendere una casa lì, non potranno più andare a fare la spesa sotto casa perchè ci saranno gli stessi prezzi di Brera o dei Navigli.
Secondo me questo aspetto dovrebbe essere guidato da chi ha una responsabilità politica, per esempio valorizzando le botteghe storiche e gli spazi verdi. C’è un vero e proprio patrimonio formato dalle Marcite e dal Parco Sud.
Su questo mi sono trovato con Elisabetta Genovese: entrambi crediamo che il compito del politico sia quello di liberare le forze che limitano lo sviluppo della personalità del cittadino. In questo modo si possono liberare delle forze che devono essere canalizzate per raggiungere un risultato comune.
Vuole dire qualcosa a chi andrà a votare domenica e lunedì?
Vorrei dire che non si può votare perché si conosce una persona o si è visto un manifesto. Bisogna leggere i programmi e capire che capire che i programmi sono più importanti delle persone.
Dire che la politica non ci interessa è come dire che non ci interessa l’aria. Non occuparsi della politica significa non dare dignità al nostro modo di essere e significa metterci dei paraocchi. Bisogna essere in grado di sviluppare senso critico, capire cosa c’è nei programmi, stimolare i politici, anche di zona, e accompagnarli verso un futuro comune senza divisioni di natura ideologica, perché distinguere fra bianchi e neri, guelfi e ghibellini ha portato l’Italia alla rovina.
Smettiamola di vedere bianchi e neri, portiamo avanti le idee e aiutiamo i politici senza dire che la politica non ci riguarda perché ci riguarderà comunque. E’ come cercare di abrogare la legge di gravità: impossibile.