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Le dichiarazioni del sindaco, e poi anche seguite – e precedute – da interventi legislativi sembrano porre un freno alla grande novità del mondo del lavoro a partire da marzo 2020: lo smart working. Per chi ancora non lo sapesse, lo smart working è una modalità di svolgere le proprie mansioni non necessariamente dal proprio ufficio ma in un altro luogo. Che sia casa propria o la spiaggia.
I bar e i ristoranti aperti a pranzo, nel capoluogo milanese, si sono scagliati contro lo smart working poiché, a loro modo di vedere, se la gente non si muove per lavorare non consuma negli orari di lavoro. C’è chi dice che questo sia uno dei motivi per cui è stato messo un freno a questa modalità.
Se da un lato, quindi, c’è il legislatore che per il momento non disdegna un ritorno del lavoro in ufficio, dall’altro c’è un trend che è in continua crescente: la voglia di ritagliarsi un proprio spazio.
Del resto, in un mondo interconnesso come questo, anche da un piccolo paesino d’Italia ci si può connettere con una persona che vive dall’altra parte del mondo. E, soprattutto, svolgere dei lavori che non rispondono solo alla legislazione italiana, come la creazione e lo sviluppo dei casinò online non aams.
Uno dei motivi per cui molte persone preferiscono lo smart working è l’opportunità di non pagare l’affitto ‘monstre’ di Milano. Questo aspetto nasconde una marea di sfaccettature. In primis, ha messo l’accento sul fatto che se gli stipendi non salgono ma l’affitto cresce, da un lato bisogna pur risparmiare. Quindi, una cena in meno, un aperitivo mancante e un acquisto non di prima necessità che non viene fatto. Un po’ come il cane che si morde la gola.
D’altra parte, però, c’è chi dice che le opportunità vadano pagate e se un monolocale quasi in centro può arrivare a costare anche 1000 euro non è detto che si stia pagando il monolocale in sé ma semplicemente di vivere in una città che offre, in maniera oggettiva, tante possibilità per chi ha voglia di fare.
Un altro interessante è che avere lo stipendio milanese al sud vuol dire davvero fare una vita agiata, anche se si ha un mutuo da pagare. Non è certamente un caso che nel periodo pandemico l’economia dei piccoli borghi stesse crescendo e tante persone hanno deciso, dove possibile, di rimanere nel luogo di nascita. O, comunque, lontano dallo stress che una città come Milano dà.
Per molti Milano non è più la città dello smart working anche perché in ufficio c’è la possibilità di avere dei contatti che on line, probabilmente, non si potrebbero avere al 100%. Non si sta parlando del classico rapporto tra colleghi che c’è in ogni azienda – dal Sud al Nord passando per il Centro – ma si tratta del fatto di incrociare persone che hanno una certa influenza.
Va da sé che persone influenti – non intese come ‘influencer’, ma che abbiano una posizione sociale e lavorativa di un certo livello – vivono soprattutto in contesti dinamici. E se non ci si muove da casa è davvero difficile incontrarli.
A Milano, infatti, è possibile incrociare manager che prendono la metro, il bus e il taxi. E chissà che proprio quella mattinata, quella chiacchiera nell’attesa del passaggio della metro possa cambiare davvero la vita lavorativa in meglio.
Ecco, questo è uno dei motivi per cui Milano, oggi, non è più la città dello smart working. Perché, in alcuni frangenti, è un controsenso vivere in casa nella città delle relazioni.