Silvia Potenza è nata a Milano da genitori milanesi e ogni cosa che ha fatto è partita da Milano.
E di cose ne ha fatte parecchie a cicli di decadi. Quando si impadroniva di una materia passava ad una altra collegandola alla precedente è così via. Lasciamo che ci racconti lei.
Oggi sei conosciuta come insegnante di fotografia e affermata fotografa di surf ma come scritto nella breve intro sei arrivata alla fotografia attraverso un percorso che vorremo che ci raccontassi.
Guarda che sono vecchia, quindi la mia, che è una storia di istruzione perpetua, è una storia lunga! Ho una formazione strampalata.
Sono partita inizialmente da una base scientifica per tradizione familiare, in fondo con madre geologa e padre fisico, non potevo che essere… rock’n’roll! Ho iniziato l’università facendo fisica, che poi ho abbandonato perché passavo le lezioni a disegnare (qualche anno dopo però mi sono iscritta a psicologia). Ma, a parte il prog, il punk e la psichedelia australiana, le scuole che mi hanno segnato di più sono state la Scuola Superiore d’Arte Applicata all’Industria del Castello Sforzesco, dove ho seguito sia il corso di illustrazione, sia il corso di decorazione e la Scuola Politecnica di design di Nino Di Salvatore, con il corso di Graphic Design.
Lavorativamente nasco quindi come illustratrice, ma nella vita ho proceduto per decadi. Dopo matite, pennello e aerografo, sfociate poi anche nel writing con le bombolette, è stata la volta della decorazione: ho aperto con delle socie un laboratorio di decorazione dove per altri 10 anni abbiamo prodotto complementi d’arredo artigianali a mosaico, vetrate tiffany e a piombo e arazzi tessuti su un enorme telaio.
A quel tempo l’evoluzione dei personal computer aveva raggiunto finalmente un livello tale da permettermi di spostare buona parte della grafica su digitale. Grazie alle basi di programmazione insegnatomi da mio padre tempo addietro, rispolvero il mio lato scientifico e finisco per aggregarmi a un gruppo di militanti informatici smanettoni, appassionati di diritti digitali e ferventi sostenitori della condivisione dei saperi. Da lì a diventare per 7 anni la webmaster del sito di Apple Italia, il passo è breve.
Ma anche la decade informatica stava esaurendo il mio interesse o meglio si stava evolvendo e io, che avevo sempre fotografato in analogico fin da ragazzina, scalpitavo di fronte all’evoluzione tecnologica delle fotocamere digitali. Per farla breve, eccomi qui in veste di fotografa da quasi 10 anni ormai…
Bene, questo percorso ti ha portato ad immergerti in acqua con bodyboard e attrezzatura fotografica e sfidare le onde e cercare di evitare che chi fotografi ti investa scendendo dalle onde in acque a volte gelide come in un certo qual modo le esperienze precedenti ti hanno portato al surf-mondo, il mondo liquido?
Il mio amore per il mare ha radici lontanissime, i miei mi hanno cacciato in acqua appena nata e da ragazzina ero tra i pochi a tuffarsi tra le onde durante le mareggiate.
Da quando ho cominciato a disegnare, i miei illustratori di riferimento sono sempre stati Roger Dean (a causa di quel prog che a te non piace) e Rick Griffin, che mi parlava di onde, surf e psichedelia, interessi che ho continuato poi a sostenere anche col sottofondo musicale del paisley underground australiano e l’amore per l’Australia in generale, che ho visitato spesso. A 50 strasuonati, dopo aver cresciuto due figli e tante altre dis/avventure, ho deciso di mettere insieme due grandi amori, mare e fotografia, per portarmi a casa la testimonianza fisica delle visioni e delle emozioni che ho sempre vissuto in acqua.
Questo ha comportato imparare a surfare, per poter fotografare le onde dall’acqua come si deve.
Tutto quello che hai fatto ad oggi parte da Milano. Pensi che in una altra città avresti avuto le stesse opportunità ? Non sto facendoti una domanda con intento campanilista ma è per capire come il luogo influenzi la crescita e l’affermarsi della persona.
A parte l’enorme pecca di Milano di essere lontana dal mare, cosa che in particolar modo mi disturba ora che sono meno disposta a rinunciare a qualcosa che amo e mi fa stare bene, per il resto aver vissuto qui è stato per me fonte inesauribile di stimoli, fermenti e opportunità, che probabilmente non avrei potuto avere in altre parti d’Italia, almeno non tutte nello stesso posto.
Per ogni decade e quindi disciplina puoi citare un milanese legato ad essa con cui hai interagito, ti ha colpito o ha avuto una certa importanza in quel momento?
Partiamo con l’illustrazione: siamo negli anni ‘80, tutti i grandi illustratori gravitano attorno alle grandi case editrici che sono ancora vive e vegete e hanno un grosso peso nell’economia del nord Italia, tra i tanti illustratori famosi di allora (impossibile citarli tutti, tanto per saltellare qua e là: Toppi, Scarabottolo, Crepax, il mio preferito tra i milanesi) quella che mi ha influenzato di più a livello di segno è stata Maddalena Sisto in arte Mad (alessandrina, ma milanese di adozione) una delle più poetiche illustratrici di moda che ha avuto l’editoria di settore.
Nella fase successiva, quella legata al design, ho incontrato i personaggi che più hanno inciso sulla mia formazione: alla Scuola Politecnica di Design ho avuto diversi insegnanti che sono stati figure cardine della scena artistica di quel periodo: oltre a Di Salvatore fondatore della scuola e uno dei fondatori del MAC (Movimento Arte Concreta), Attilio Marcolli e Carlo Nangeroni per citarne alcuni ma su tutti ho avuto la fortuna di avere come insegnante Bruno Munari, maestro poliedrico incontrastato.
Per la fase “informatica militante” devo in realtà fare riferimento ad una figura cardine milanese che non c’entra direttamente con i computer: Primo Moroni che, con la sua libreria (la Calusca), la sua cultura e saggezza ha fatto da punto di riferimento per tutta quella tutta la controcultura che in quegli anni è stata portatrice di ideali e innovazione che sono imprescindibili per uno sviluppo sano di una società. Nella fase più recente i fotografi milanesi a cui devo di più in termini di visione fotografica sono Efrem Raimondi, che ha un approccio alla fotografia molto rock’n’roll, e Stefano Bernardoni, direttore della scuola dove mi sono formata e dove insegno tuttora.
Come trovi cambiata Milano in queste decadi?
Come in gran parte dell’Italia oggi tutta quella cultura e controcultura che hanno caratterizzato la città nel secolo scorso è molto più sommersa, come se fossimo in una sorta di proibizionismo culturale, e non trova espressione, se non a fatica e in pochi ambiti.
Tralasciando un’analisi socio-economico-cultural-filosofica, che sarebbe troppo lungo affrontare qui, direi che bisognerebbe adesso ricreare aggregazione fisica di persone, basata su passioni slegate dal soldo e sulla circolazione dei saperi, per creare un pensiero filosofico nuovo su cui far germinare nuovi ideali e sviluppi positivi della nostra società