Categorie: Cultura
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17 Gennaio 2020 13:06

Sergio Gerasi: “Milano è sempre fra i protagonisti dei miei fumetti”

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Sergio Gerasi si racconta a Notizie.it | Milano: "Il mio essere milanese è stato fondamentale, è una città in perenne mutamento"

Sergio Gerasi, ha iniziato a disegnare fumetti da giovane ed ora é uno dei migliori segni del disegno italiano e non.

Già 20 anni fa disegnavi fumetti , disegnavi Lazarus Led ed adesso disegni Dylan Dog ma hai disegnato anche un graphic novel per Bao. Come è cambiato il mondo del fumetto in 20 anni?

Il fumetto in questi 20 anni in cui ho esercitato è cambiato, di certo, ma è anche rimasto uguale. Mi spiego: è cambiato perché ha iniziato ad esplorare nuove forme, mi riferisco in gran parte al successo che ha avuto ultimamente la graphic novel (o il graphic novel, dipende dal grado di intransigenza di chi legge).

Nel profondo però direi che il fumetto in quanto linguaggio è ben consolidato e quindi in questo senso non si è poi modificato molto. In sintesi ti direi che il linguaggio non è cambiato, ma sono cambiati i temi, gli argomenti delle storie, i ritmi del racconto ecc… così come son cambiati nel cinema, nella musica, nella letteratura. Per quanto riguarda invece le tecniche di realizzazione ovviamente il digitale ha fatto pesantemente il suo ingresso anche dalla nostra porta: io stesso, che ho sempre utilizzato la carta ed ero molto scettico sul fatto di disegnare sopra uno schermo, non ne sono uscito indenne.

Ho la mia Wacom Cintiq (e iPad Pro) e ormai più del 70% dei miei lavori sono fatti in digitale. Questo naturalmente non vuol dire, come si sentiva dire a fine anni 90 “eh ma ormai c’è il computer, fa tutto lui”. È -e rimarrà- sempre e solo un mezzo.

Disegnare fumetto popolare ( quello che esce in edicola a cadenza fissa ) e graphic novel ( sostanzialmente romanzo disegnato) é un modo di narrare diverso? Quale preferisci tra le due narrazioni?

Ti rispondo ovviamente a livello strettamente personale, non potrei fare altrimenti del resto.

Per il fumetto popolare io realizzo solo i disegni, i testi sono sempre di altri. Almeno fino a oggi è stato così – si era prospettata qualche tempo fa l’ipotesi di un albo fuori serie di Dylan Dog interamente mio, ma poi è naufragata. La grande differenza sta proprio qui, nel fumetto popolare visualizzo storie di altre che poi diventano un po’ anche mie attraverso la narrazione che posso aggiungere con i miei disegni.

Nel caso di fumetto “da libreria”, invece, ho la possibilità di gestire tutto, dall’inizio alla fine, perfino i colori, le forme dei balloon, il font… tutto davvero. In questo caso quindi mi scindo e divento scrittore che mette in difficoltà il me stesso disegnatore che a sua volta maledice pesantemente il me stesso scrittore. Se non si fosse capito il fatto di scrivere libri a fumetti da autore completo è per me un surrogato dell’analisi psicologica.

Visto che siamo in tema ti chiedo anche secondo te perché si è affermata la graphic novel in questi ultimi anni ( in fondo non è un modo di narrare nuovo visto che lo usavano da Pratt a Pazienza ) e se si è affermata a discapito del fumetto popolare?

Sì hai ragione, non è una forma fumetto mai vista, anzi.

Io credo che a un certo punto abbia intercettato maggiormente i gusti che si diffondevano e cambiavano nel pubblico, qualche anno fa. Aggiungici lo straordinario successo di vendite di Zerocalcare che ha portato inevitabilmente attenzione sul fumetto formato graphic novel. E per il resto che ti posso dire, lo cantava già Giorgio Gaber, “quando è moda, è moda”. Ma benvenga, benintesi.

Quanto hai inciso l’essere milanese sul tuo disegnare e quanto incide il continuo mutamento della nostra città ?

Nei due libri che ho pubblicato con Bao Publishing finora (a cui se ne aggiungerà un terzo nel 2020), Milano era (e sarà, si chiude una trilogia) molto presente, quasi una coprotagonista della storia. In questo senso il mio essere nato e vissuto in questa città (da genitori e nonni milanesi, pure, quindi ormai mi aspetto di ricevere quanto prima le chiavi in platino della città, o perlomeno di Porta romana) ha giocato un ruolo fondamentale.

Il fatto che le storie siano state pensate, immaginate, alle volte vissute, proprio in questi luoghi, ha reso naturale ambientarle proprio dove sono nate. Il fatto che Milano sia in perenne mutamento, non mi stupisce. Già in “Milano non è Milano” di Aldo Nove era stato descritto perfettamente il carattere di questa città che, lo specifico, me va bene, piace, anche perché negli ultimi anni il cambiamento è coinciso con un miglioramento, in anni passati non era sempre stato così, anzi.

La tua band si chiama 200 bulletts ( titolo derivato da 100 bulletts un fumetto disegnato da Risso) quindi suoni punk e fino a non molto tempo fa facevi surf . Quanto influiscono queste sue passioni sul disegno?

L’essere appartenuto a una certa scena punk milanese (che univa anche la passione per lo skate e il surf) è sempre stato per me molto importante: erano gli anni in cui chiunque cerca un’identità e io mi son ritrovato ad avere quella.

In un certo senso mi ha salvato. Punk una volta, punk per sempre, lo sostengo con forza. Ora la cresta non c’è più, alle volte metto anche la giacca, ma l’attitudine e un certo senso di visione del mondo sono rimasti invariati e non credo cambieranno mai.