L’omicidio di Manuel è stato ricostruito, ed emerge un audio su WhatsApp in cui il killer racconta: “Ero teso quella sera, ho afferrato un coltello”.
Durante l’interrogatorio, Daniele Rezza, il 19enne accusato di aver ucciso il 31enne a Rozzano, ha rivissuto i momenti drammatici di quella fatale notte. Ci sono interrogativi su come la famiglia di Rezza possa essere coinvolta: lo hanno aiutato a nascondere la verità? Potrebbe esistere un messaggio vocale che svela il dramma di quel momento. “Dammi qualcosa” rappresenta un’urgenza, quasi una necessità, tale da spingere a infliggere un colpo letale.
Con queste parole ha inizio la triste vicenda che ha portato alla morte di Manuel Mastrapasqua, un uomo di 31 anni assassinato in viale Romagna nella notte tra giovedì e venerdì. Daniele, a suo carico, ha precedenti di furto da minorenne e rapina da maggiorenne. Quella notte si trovava in strada “perché mi sentivo agitato”, dichiarerà poi agli inquirenti, capitanati da Antonio Coppola e Fabio Rufino. Prima di uscire dalla sua casa in zona viale Campania, ha preso un coltello appunto per il timore della pericolosità di Rozzano.
Manuel, nel frattempo, stava tornando a casa dopo il lavoro al Carrefour, e mancava poco alla sua sicurezza, mentre Daniele si avvicinava sul marciapiede opposto.
L’uomo infilava un’arma nei pantaloni della sua tuta nera e, mentre una telecamera lo inquadrava brevemente prima dell’omicidio, l’obiettivo riusciva a cogliere il “riflesso” della lama. Il suo tragico incontro con Manuel, avvenuto in un contesto ineluttabile, si configurava come un momento drammatico.
A breve distanza, un altro individuo era presente, ma scomparirà nel nulla senza prestare aiuto. Daniele si avvicinò a Manuel, il quale aveva in mano un ombrello e indossava cuffie blu da meno di 15 euro. “Dammi qualcosa,” gli intimò, strappandogli le cuffie. Manuel, di 31 anni, cercò di difendersi, ma fu colpito al petto da un colpo di coltello, morendo meno di un’ora dopo all’Humanitas. Solo qualche minuto prima, alle 2.56, l’uomo stava conversando via messaggi con la sua fidanzata Ginevra, residente in Liguria.
Aveva iniziato a registrare un messaggio vocale che, a causa della tragedia, non le giungerà mai, e neppure riceverà risposte alle sue chiamate. È probabile che, sul telefono della vittima – che le forze dell’ordine non riescono ancora a sbloccare – quel messaggio rimanga in attesa di essere inviato, testimoniando in modo angosciante i fatti accaduti. Nel frattempo, i carabinieri, passando per caso alle 2.58, scoprono il corpo dell’uomo a terra, accanto alla fermata del tram 15, il quale utilizzava anche a notte fonda per ritornare a Rozzano.
Tuttavia, all’arrivo dei militari, il presunto aggressore era già riuscito a fuggire.
Dopo essere tornato a casa dai genitori, sembrerebbe che questi abbiano detto agli investigatori che non era insolito per il loro figlio avere delle liti con altre persone. Sembrava anche che, poche ore prima del delitto, lo stesso giovane avesse raccontato al padre di aver avuto un confronto fisico con alcuni stranieri nei pressi della sua abitazione.
Il giorno seguente segna una svolta importante nelle indagini. I carabinieri, esaminando varie registrazioni, riescono a individuare la figura di Daniele. Il ragazzo, che lavorava saltuariamente in un supermercato di viale Monza a Milano, condivideva questo impiego con il padre. Accortosi della crescente pressione attorno a lui, il presunto colpevole decide di allontanarsi, dopo aver probabilmente raccontato ai genitori ciò che era accaduto.
Il padre, secondo quanto ricostruito, lo porta sabato mattina alla stazione di Pieve Emanuele per prendere un treno, quello che lo conduce ad Alessandria.
Qui, poco prima delle 13, una pattuglia della Polfer lo ferma casualmente. Gli agenti lo identificano e lo lasciano andare, ma poco dopo il 19enne torna sui suoi passi e dice: “Ho fatto una stupidaggine a Rozzano”. I militari, ora con il fiato sul collo, decidono di fermarlo e, in accordo con il procuratore aggiunto Bruna Albertini e la pm Letizia Mocciaro, lo riportano a Rozzano per cercare l’arma del delitto, che però rimane mancante.
I pantaloni della tuta che indossava quella notte vengono rinvenuti a casa, ma già lavati, mentre le cuffie di Manuel vengono trovate in un bidone della spazzatura non lontano dal luogo del crimine.
Gli inquirenti nutrono un sospetto molto forte che la persona responsabile di averla abbandonata in quel luogo sia un parente del giovane di 19 anni, il quale sembrava aver preso la decisione di fuggire, probabilmente con destinazione Torino, per poi cercare di allontanarsi all’estero.
Con il passare del tempo, mentre il pomeriggio di sabato si trasforma in sera, Daniele si trova nella stazione di polizia di via della Moscova e, sopraffatto dalla situazione, esclama: “Era in piedi, non ho notato sangue, non credevo di averlo ucciso”. Successivamente, ripeterà quelle due frasi – “Dammi qualcosa” – che hanno segnato l’inizio di questa drammatica vicenda.