Inchiesta sugli ultras: uno dei fermati il 30 settembre è accusato di un delitto avvenuto nel 1992.
Fausto Borgioli fu assassinato nel ’92 vicino all’oratorio Don Orione, situato nel quartiere Lorenteggio. Dopo oltre tre decenni, il caso legato alla sua morte si svela grazie a un’intercettazione nell’indagine attuale sugli ultras di Milan e Inter.
A Milano, uno dei 19 individui arrestati recentemente ha ricevuto dalla Guardia di Finanza un’ordinanza di arresto per l’omicidio di Fausto Borgioli, avvenuto 32 anni fa. Borgioli era un ex membro del gruppo criminale guidato da Francis Turatello, noto figura del crimine.
Il soggetto coinvolto è Pino Caminiti, di 55 anni, conosciuto come il “re dei parcheggi di San Siro”, già con un ampio passato penale, tra cui reati di spaccio. È stato arrestato il 30 settembre e risulta accusato di aver ucciso Borgioli con un’arma da fuoco.
L’individuo arrestato, proveniente dalla Calabria, è considerato dagli inquirenti legato a figure di rilievo del clan ‘ndrina Staccu di San Luca, situato nella provincia di Reggio Calabria, ed è sospettato di essere l’esecutore materiale dell’omicidio.
Si pensa che costui, che lavorava per un imprenditore milanese attivo nella gestione dei parcheggi vicino allo stadio Meazza, fungesse da intermediario fra le richieste estorsive del gruppo di sostenitori della Curva Nord e il suo capo.
La vittima, Borgioli, è stata assassinata nei pressi dell’oratorio Don Orione, nel quartiere Lorenteggio.
Le ricerche riguardanti l’omicidio di Borgioli, condotte anche analizzando i documenti originali del caso, hanno consentito di ricostruire le circostanze e la partecipazione dell’imputato nel crimine avvenuto il 19 ottobre 1992, quando la vittima fu colpita da cinque proiettili nei pressi dell’oratorio.
Le indagini iniziali, seguite dalle dichiarazioni di un pentito, hanno portato all’identificazione di tre persone di origine calabrese come possibili responsabili, tutte collegate ad ambienti mafiosi e coinvolte in traffico di droga, inclusa la persona arrestata. Tuttavia, le prove raccolte non furono sufficienti per sostenere l’accusa.
La recente inchiesta sugli ultras ha portato alla luce nuove evidenze, scaturite da una confidenza dell’arrestato al suo datore di lavoro e poi confermate da ulteriori verifiche.