Luca Mocarelli, docente di storia economica presso l’Università di Milano Bicocca, spiega che il dato salariale non riflette sempre il reale potere di acquisto.
Ad esempio, 2000 euro mensili possono sembrare un buon stipendio, a meno che l’affitto non ammonti a 1200 euro al mese, lasciando ben poco a disposizione dopo aver sostenuto le necessarie spese di sussistenza. Considerando ad esempio la Lombardia, dove gli stipendi sono di norma più alti, bisogna però considerare anche i costi di vita più elevati. Il proffessore sottolinea inoltre che l’equilibrio si è rotto con l’aumento dell’inflazione.
Per quanto riguarda l’adattamento dei salari al costo effettivo della vita, Mocarelli sottolinea la difficoltà di questa operazione per i dipendenti pubblici, considerando il debito statale; similmente, per il settore privato non esiste un meccanismo simile a quello degli Stati Uniti, dove i salari sono stati aggiustati significativamente. La presenza di differenze salariali così marcate a livello locale può essere giustificata dal tipo di economia delle diverse aree: ad esempio, Milano ospita molte multinazionali che possono offrire stipendi più alti rispetto alle aziende artigiane.
Infine, sulla questione di un possibile adattamento del salario basato sui costi di vita locali, si è tentato di riaprire il dibattito sulle cosiddette “gabbie salariali”, ma si è arenato a causa delle resistenze sindacali.