Nella profondità della periferia, ci furono giorni in cui le mattine emergevano chiare e vivaci.
Guardando indietro, mi sembra che ognuno stesse vivendo la propria narrazione, fosse di alto rilievo o quotidiana, in un luogo autentico. Tutti sembravano raccontare la propria vita, fosse per personalità esuberante o tristezza, nella propria versione lombarda di Spoon River. La mia era il Fiume Molgora, un piccolo ruscello con un nome femminile, caratteristica comune ai corsi d’acqua della mia zona, dall’Adda ai canali, che costeggia Melzo a sud.
Le mattine erano particolarmente brillanti durante la primavera.
La primavera era predominante attorno al fiume Molgora. Durante le albe usuali e impressionanti, vedevo arrivare su una bicicletta, con il sole alle spalle, Scarseggia, un ragazzo che faceva il postino e molti altri lavori. I suoi occhi erano azzurri e coraggiosi, somiglianti a quelli dello zio Ernest, un pescatore perseverante. Si diceva che se si fosse impegnato, avrebbe potuto far cadere la neve, ovviamente, tranne in primavera.
Scarseggia aveva il viso esposto al vento e, forse, la gola al vino, ma preferiva l’uva secca, tenuta a riposo tra l’erba alta di un fosso. Il vivace mattino di Molgora River era anche della locanda di passaggio che serviva cacciagione e allodole, un’evoluzione del bar che offriva vino aspro e gnocchi e qualche aranciata, con il piccolo oste dietro il bancone alto. E poi c’era il negozio di dotazioni che vendeva di tutto, come un emporio stile Far West, dal latte al veleno per i topi.
La figlia del negozio di dotazioni, vista di profilo, somigliava all’immagine della Repubblica sul retro delle vecchie monete da cento lire. Poi c’erano i camion delle antiche aziende Galbani e Invernizzi (macellai di maiali) e l’odore acre della altrettanto antica Tudor Batteries. Camionisti con barbe rosse e tute azzurre. Sullo sfondo, le sirene che chiamavano al lavoro, lavoro che non era mai abbastanza. Venti anni dopo, nell’antologia di Molgora River, vidi uscire da un cancello, lanciandosi nel mattino su un ciclomotore color latte e menta, una ragazza mora e magra.
Sedeva graziosamente sul piccolo pedale dello scooter, mostrando una eleganza audace. Rispondeva al vento che veniva verso di lei con un sorriso. A mio avviso, quel sorriso sembrava essere il più incantevole che avessi mai visto. Ed era esattamente così.