Attilio Fontana entra nel dialogo riguardante la necessità di approvare una legge locale riguardante il suicidio assistito da un medico.
Invita il Consiglio regionale a mettere da parte ogni rigido punto di vista ideologico su questo tema e a dedicarsi proprio alla comprensione delle competenze regionali come indicate dalla sentenza del 2019 della Corte Costituzionale. Per semplificare, l’appello del governatore lombardo può essere interpretato così: “Nessuna resistenza, nessun pregiudizio. Se c’è bisogno di definire le modalità e i tempi di una procedura che permetta a coloro che si trovano nelle condizioni specificate dalla Corte di ricorrere al suicidio assistito da un medico, identifichiamola”.
Questo appello, che pare quasi un monito, è stato messo per iscritto in una nota dopo l’incontro di ieri con Marco Cappato e Cristiana Zerosi, rispettivamente tesoriere e coordinatrice milanese dell’associazione Luca Coscioni, che guida il comitato Liberi Subito, promotrice della legge di iniziativa popolare. Il punto di vista di Fontana contrasta con quello espresso la scorsa settimana e confermato ieri dagli stessi presidenti delle commissioni regionali responsabili di promuovere una potenziale legge locale sul fine della vita: Matteo Forte (Affari Istituzionali) e Patrizia Baffi (Sanità), entrambi consiglieri regionali di Fratelli d’Italia, il primo partito di maggioranza in Regione.
Nel messaggio del governatore, ha dichiarato: “Ho sempre pensato che su questioni etiche di tale importanza, ciascuno di noi debba fare affidamento sulla propria coscienza. In questo specifico caso, credo che l’obiettivo debba essere quello di attuare la sentenza della Corte Costituzionale, comprendendo i suoi termini” sottolinea Fontana.
Nel corso dell’incontro, Cappato e Zerosi hanno presentato al governatore la proposta di legge dell’Associazione Luca Coscioni. L’obiettivo è di regolare l’assistenza medica alla morte volontaria, implementando un processo sotto supervisione medica con controlli tempestivi, adeguati e ben definiti.
La proposta è attualmente esaminata dalle commissioni e sarà oggetto di discussione nell’assemblea del Consiglio regionale nei mesi a venire. Questo è riassunto in una nota successiva all’incontro.
Fontana ha concluso che l’obiettivo dell’incontro era soprattutto chiarire le disposizioni stabilite dalla Corte Costituzionale in materia, allo scopo di proteggere i diritti dei cittadini e assicurare al personale medico la legalità e la sicurezza delle loro azioni. “Mi aspetto quindi, che l’attenzione dell’Aula sia rivolta principalmente a questo aspetto durante l’esame del provvedimento”.
Tuttavia, solo la settimana scorsa, Forte e Baffi hanno affermato in una nota condivisa, che la responsabilità per questa questione è completamente a carico dello stato, come dimostrano, secondo loro, le opinioni rilasciate dal Servizio legislativo del Consiglio stesso.
Risulta fondamentale sottolineare ciò che è stato affermato ieri, successivamente alla pubblicazione delle considerazioni di Fontana e al seguito dell’interrogazione posta a Danilo Cereda, rappresentante della direzione generale del Welfare, invitato alla sessione congiunta delle commissioni Affari Istituzionali e Sanità.
Come delineato da Cereda, in seguito al giudizio espresso dalla Corte costituzionale nel 2019, le richieste di attuazione della sentenza devono essere rivolte alla Azienda Socio Sanitaria Territoriale di pertinenza, con un importante ruolo nel determinare la condizione clinica e l’effettiva capacità di provvedere da parte del network di cure palliative e trattamenti del dolore, tutto entro un intervallo di tempo ragionevole, fissato in 90 giorni.
A seguito delle domande poste a Cereda, è stato nuovamente sottolineato da Forte e Baffi che è a questo punto che l’azione del servizio sanitario regionale si deve arrestare.
Nessun membro operante all’interno può infatti garantire pratiche per l’assistenza al suicidio, non essendo stato riconosciuto nessun diritto alla fornitura.
Con la sentenza del 2019, secondo quanto ha definitivamente spiegato il Servizio legislativo del Consiglio regionale, non viene stabilito alcun diritto per il paziente, ma piuttosto si identifica una condizione che esclude la colpa per il responsabile dell’assistenza al suicidio. L’analisi delle condizioni cliniche del paziente da parte dell’ASST serve per confermare la presenza di questo fattore escludente.
Le commissioni congiunte si sono riunite per discutere e fornire dati sulle richieste di suicidio assistito in Lombardia seguenti alla decisione della Consulta. Dopo gennaio 2023, delle 10 richieste ricevute, si è scoperto che due non rispettavano i requisiti stabiliti dalla Corte. Tuttavia, dopo essere state gestite dall’ASST e dopo che i soggetti coinvolti si sono persuasi, tre di queste richieste sono state rivolte verso le terapie palliative. Dal Pd, è Carmela Rozza a prendere la parola, lodando le affermazioni sensibili di Fontana.