Categorie: Cronaca
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21 Settembre 2024 04:55

Lavoratori sleali presso l’Agenzia delle Entrate. Dovranno affrontare un risarcimento all’istituzione per il pregiudizio alla reputazione dopo la sentenza

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Secondo le testimonianze dei giudici, le azioni illegali commesse da Tiziana Bozzini e Stefano Urso hanno distrutto la fiducia della società nella pubblica amministrazione, per la loro gravità intrinseca.

Questi atti non erano eventi isolati, ma facevano parte di una prassi criminosamente stabile in un ambiente di lavoro tossico. Questi sono i motivi che hanno portato la Corte dei Conti a ordinare a Bozzini e Urso un rimborso di 40mil euro all’Agenzia delle Entrate.

Il duo fu arrestato il 10 luglio 2020 da Davide Di Santo e i Carabinieri del Nucleo investigativo, dopo un’indagine scatenata da due altri impiegati.

L’indagine ha rivelato che Bozzini e Di Santo tradivano la loro posizione, vendendo copie di documenti associati a imposte ipotecarie a privati a prezzi inferiori, ricevendo il pagamento in contanti e intascando la differenza. Quanto a Urso, era stato scoperto che collaborava con soggetti privati, gestendo per loro pratiche relative all’ufficio, violando i suoi doveri, svolgendo così un lavoro privato all’interno dell’ufficio pubblico.

Gli accusati, che sono stati deferiti al tribunale, hanno optato per una negoziazione: Bozzini, Di Santo e Urso sono stati condannati a 2 anni e 4 mesi, 2 anni e 10 mesi e 2 anni rispettivamente.

Concluso il processo penale, si è adesso focalizzata l’attenzione sulla questione contabile. La Procura ha rilevato sia il danno economico derivato dalla mancata riscossione delle tasse ipotecarie (6.974 euro per Bozzini e 29.474 euro per Di Santo), che il danno alla reputazione (stimato in 50.000 euro). Di Santo ha optato per un processo rapido, uscendo così dal caso. Bozzini e Urso hanno scelto un processo standard: la prima ha dichiarato di aver già pagato 4.000 euro all’Agenzia delle Entrate, mentre il secondo ha tentato di sostenere che la sua collaborazione con privati era parte di una regolare prassi per migliorare l’efficienza dell’ufficio.

Quest’ultimo argomento è stato bollato come “ridicolo” dai giudici e smentito dalle prove raccolte durante le indagini, che hanno mostrato che Urso aveva un approccio disinvolto verso questa attività di consulenza. In conclusione, Bozzini deve pagare 6.974 euro e sia Urso devono corrispondere insieme 33.333,32 euro, ovvero 50.000 euro meno la parte imputata a Di Santo.