Nel ventesimo secolo, sorgono rinvii che hanno innescato due intense guerre in Europa.
Il successivo periodo di Guerra Fredda ha generato un’era di stabilità relativa, sotto l’egida del controllo degli Stati Uniti, un equilibrio tuttavia compromesso dal crollo del Muro di Berlino e dal conseguente smembramento dell’URSS. Quest’ultima, pur essendo un’avversaria, collaborava segretamente con gli americani per mantenere una divisione nell’Europa. Questo periodo di prosperità economica, nato per mitigare la seria crisi economica post-bellica e con la speranza che l’Europa non diventasse più palcoscenico di guerre, sembrava destinato a persistere come la “fine della storia”.
Tuttavia, solo dopo un quarto di secolo, si stanno cominciando a delineare i tratti di un cambiamento di vasta portata. Con il calo dell’influenza globale degli Stati Uniti (non è sensato parlare di un declino ineluttabile), il Dragone cinese emerge con forza, puntando a diventare la principale potenza economica mondiale. Parallelamente, la Cina continua a potenziare la sua forza militare, che non è solo una improbabile minaccia, ma anche un deterrente per prevenire devastanti conflitti, in particolare con i rivali d’oltreoceano.
Tutti aspiriamo ad un mondo pacifico. Tuttavia, pacifismo non equivale ad equilibrio globale. Come suggeriva Sant’Agostino, “ubi terror, ibi salus”; lì dove esiste il terrore si trova anche la salvezza. Ne sono prova le tensioni in Ucraina e in Medio Oriente, le quali potrebbero detonare uno sconvolgimento globale devastante. Perciò, messo da parte l’ottimismo razionale, dobbiamo veramente rassegnarci ad un pessimismo profondo? Assolutamente no. Senza isolarci dalla realtà in una torre d’avorio, dobbiamo agire con forza e determinazione.
L’Europa necessita di un piano strategico elaborato “sine ira et studio”. Dovrebbe, per non rischiare la sua stessa esistenza, evolversi da un’entità economica ad una politica unita. Ma, ovviamente, deve essere pronta a difendere la pace.