Il senso olfattivo del pastore belga Aika ha dissipato ogni dubbio rimanente: il fuoco che è divampato nove giorni fa presso lo showroom di Li Junjun sulla via Cantoni 3 a Milano è stato appositamente attizzato.
Durante le ispezioni effettuate la mattina precedente, l’unità cinofila specializzata proveniente da Palermo ha identificato segnali inequivocabili della presenza di acceleranti al piano inferiore dell’edificio. In altre parole, l’incendio che ha tolto la vita a Pan An, il designer cinese di 24 anni, e ai due fratelli diciassettenni e diciottenni, Liu Yinje e Dong Yindan, è stato doloso. Il compito successivo per i Cacciatori del Fuoco sarà quello di identificare la tipologia di sostanza (benzina, alcool, o altro) attraverso l’utilizzo del loro avanzato equipaggiamento.
La dinamica dell’incidente ha inizialmente suggerito l’idea di un incendio “ritardato”, dato che le riprese video hanno mostrato il movimento di individui fino a venti minuti prima dell’iniziazione del fuoco. Dopo di che, nulla. Tuttavia, una nuova linea d’indagine sta emergendo come probabile per il gruppo di investigatori del Nucleo investigativo di via Moscova, guidati dal procuratore Marcello Viola e dal pm Luigi Luzi, e diretto dal colonnello Antonio Coppola con il tenente colonnello Fabio Rufino: l’individuo responsabile dell’incendio potrebbe aver agito dall’alto, utilizzando come ingresso uno dei lucernari dell’ex fabbrica, trasformata lo scorso autunno in un spazio espositivo all’ingrosso per mobili.
L’incendio dell’edificio sarebbe stato causato da un individuo, presumibilmente un estraneo, che avrebbe sfruttato le impalcature non dotate di allarmi anti-intrusione di un cantiere adiacente per arrampicarsi fino al primo piano. In questa posizione, le ipotesi circa i suoi movimenti sono due. La meno plausibile è che il soggetto sia entrato nell’edificio e abbia dato fuoco a un soppalco, mentre l’ipotesi più attendibile è che abbia lanciato un accelerante (potrebbe essere benzina, alcol o altro) dall’esterno, allestendo l’incendio più vicino alla porta principale.
Dopo aver innescato le fiamme, l’individuo sarebbe sceso seguendo lo stesso percorso e avrebbe lasciato la scena a piedi, procedendo nella direzione contraria rispetto a quella del vicino stazione ferroviaria Certosa. Grazie alla gran quantità di immagini disponibili, le forze dell’ordine sono riuscite a ricostruire parzialmente il suo tragitto.
Secondo le informazioni ricevute da Il Giorno, l’incendiario sarebbe un cittadino straniero, ma non di origine cinese. Infatti, nelle poche ore che hanno preceduto il devastante incendio, il padre del proprietario dell’edificio ha riferito di un indiano nordafricano che l’aveva affrontato fuori dalla sua casa a Chinatown, esigendo un pagamento di 20.000 euro.
Questa richiesta è stata tradotta in mandarino tramite Google Translate. L’uomo avrebbe poi minacciato la moglie del titolare nello stesso modo nei pressi dello showroom la mattina successiva. Resta da chiarire se l’aggressore abbia agito da solo o su ordine di qualcun altro, e se la richiesta di denaro fosse frutto di un tentativo di estorsione o, più verosimilmente, di un tentativo di riscossione di un debito per conto terzi.
Indubbiamente, i tre giovani (su cui sono stati svolti ieri gli esami autoptici) non hanno cercato di estinguere l’incendio, ma hanno tentato senza successo di scappare da dietro. Da qualche giorno alloggiavano lì, come suggeriscono le piccole stanze allestite nell’antico capannone e i vestiti appesi per asciugare. Domani pomeriggio, la collettività cinese di Milano terrà un raduno in loro memoria in piazza Gramsci.