Barbara D’Astolto, un’ex assistente di volo, sta ricevendo molte lettere da donne che condividono le loro dolorose esperienze, dopo che una recente sentenza ha assolto un sindacalista che aveva denunciato per molestie sessuali.
Le iniziative come la celebrazione dell’8 marzo o del 25 novembre, o le panchine rosse, a suo avviso, sembrano solo azioni simboliche, dato che nel 2024 stiamo ancora fronteggiando verdetti di questo calibro. D’Astolto ha intenzione di portare il caso alla Cassazione e, se necessario, alla Corte europea per i diritti dell’uomo, dopo l’accaduto durante un incontro nel 2018 nell’aeroporto di Malpensa.
La Corte d’Appello di Milano, pur confermando la decisione del Tribunale di Busto Arsizio, ha stabilito che i comportamenti dell’accusato, nonostante contestati come abusi sessuali, non sono stati tali da mettere la vittima in una situazione di impossibilità assoluta di reagire.
I giudici ritengono che il presunto abuso, durato “20-30 secondi”, non avrebbe impedito alla vittima di allontanarsi.
Dopo aver esaminato attentamente le motivazioni della sentenza con il suo avvocato, Teresa Manente, D’Astolfo è rimasta sconvolta dalla sentenza d’appello, che ha aggiunto che la fisicità del sindacalista non era tale da incutere timore. Trova questa affermazione sconcertante, poiché sottolinea l’erronea correlazione tra l’aspetto fisico e la pericolosità di una persona.
Nonostante l’amarezza, D’Astolfo e il suo legale non hanno intenzione di rinunciare e presenteranno ricorso in tutte le sedi possibili.
Ricevo continuamente lettere da molte donne, tutte accomunate dalla realtà che le loro denunce, anche per casi molto più gravi del mio, sono state trascurate. Non sono un caso isolato, siamo molte a essere vittime di un sistema che punisce chi subisce e dà libertà ai perpetratori.” Quali esperienze l’hanno colpita di più? “Una donna mi ha raccontato di aver subito abusi nel consultorio di un dentista, un’altra è stata vittima di un professore che le dava tutoraggi di latino: non ha mai parlato di ciò con i suoi genitori, nemmeno dopo anni.
Una ragazza mi ha detto: “Quando è accaduto a me avevo solo 5 anni, non sapevo neanche contare fino a 20.” Quale impatto ha avuto la sua decisione di sporgere denuncia sulla sua vita personale? “Inizialmente, ho perso il mio lavoro, sono stata costretta a dimettermi e sono stata trattata come se fossi una patologica. Fortunatamente, avevo un’alternativa e ora, grazie al mio grado di istruzione, insegno in una scuola elementare.
Non ho mai rivelato alle mie due figlie, la più grande di 12 anni, ciò che mi è capitato. Sono consapevole che dovrò affrontare la questione prima o poi.” È preoccupata per il loro futuro? “Le violenze sessuali possono accadere in contesti molto diversi, non saprei come proteggerle. Io ero in un ambiente sicuro, nella sala sindacale, eppure sono stata sessualmente molestata. Per evitare rischi, dovremmo essere costrette a non uscire di casa.
Posso solo chiedere loro di non reprimere i propri sentimenti, di parlare sempre con mamma e papà”. Con il senno di poi, considerando le due sentenze, avrebbe ancora denunciato? “Non posso rispondere a questa domanda, né so quale consiglio darei ad una donna.
Il mio posto attuale mi impedisce di affermare che chi lancia un’accusa riceve giustizia. Sfortunatamente, in Italia c’è una carenza di desiderio di distaccarsi da un certo tipo di mentalità, e in Europa siamo sempre all’ultimo posto.
L’unica cosa che rimane dopo un’esperienza del genere è una grande delusione.