Il 29 luglio 2024, l’atrio del tribunale di Milano era in subbuglio.
Un uomo apparentemente disorientato ha fatto irruzione dopo aver superato i controlli di sicurezza. Tra lacrime e parole confuse, è stato delicatamente avvicinato dagli agenti di polizia presenti, i quali cercavano di calmarlo. Era D.C., 41 anni, proprietario di un bar nel quartiere Città Studi a Milano. Aveva dichiarato di voler “mettere fine a tutto” a causa delle gravi difficoltà economiche accumulate nella sua attività. Paolo Bocedi, dell’Associazione Antiracket e Usura, ha delineato la situazione di D.C.
come “tipica di molti altri baristi a Milano”. Secondo Bocedi, proprio a Milano, la “città da bere” resa celebre dagli anni ’80 da un famoso spot pubblicitario, i titolari di bar lottano spesso per mettere insieme i due capi. Un corrispondente dell’Agenzia Agi ha incontrato D.C. nel suo locale, prima che arrivassero i clienti per l’aperitivo. Visibilmente scosso, D.C. è in sciopero della fame in attesa di una decisione giudiziaria sul suo caso, attesa che ormai dura da quattro mesi.
Ho iniziato a gestire questo business il 2 di Marzo 2020, e dopo un breve periodo, abbiamo dovuto chiudere a causa del Covid. Il team è composto da me, la mia partner e due collaboratori. Dall’inizio della pandemia, abbiamo deciso di lavorare un solo turno, dalle 17:00 fino alle 2:00 di notte, perché l’affluenza di clienti è andata calando. Ho 41 anni e sono nel settore da 22.
Amo il mio lavoro, e la mia più grande gratificazione è quando un cliente ritorna. Ho sempre adempiuto ai miei doveri di pagamento verso i fornitori e i miei impiegati, anche se qualche volta potrei essere in ritardo, ma effettuo sempre i pagamenti. Ho sempre cercato di mantenere un’atmosfera tranquilla. Tutti i miei risparmi li ho investiti in questo business, compreso l’acquisto delle proprietà e degli arredi. Dopo la pandemia, abbiamo dovuto far fronte anche all’aumento delle bollette, in un periodo in cui le persone spendevano molto meno.
Nonostante tutto, all’inizio del 2024, avevo saldato tutti i debiti attraverso pagamenti anticipati e cambiali, avevo onorato i prestiti bancari e finalmente avevo iniziato a respirare. Il costo d’acquisto del bar è stato di 300 mila euro, 200 mila pagati con assegno circolare e 100 mila tramite 71 rate mensili da Maggio 2020 a Ottobre 2026. E questo è il punto in cui la situazione si è complicata, l’inizio di un vero incubo.
Il barista, preda del panico, racconta come aveva ‘trasferito’ delle cambiali come garanzia di pagamento alla persona che gli aveva ceduto l’attività. Tuttavia, a marzo viene sorpreso da una richiesta improvvisa di pagamento di queste cambiali. Pertanto, si è ritrovato a dover pagare tre mensilità di cambiali, ovvero un totale di 10500 euro, qualcosa che documenti alla mano, non avrebbe dovuto fare. Il suo legale, Massimiliano Lanci, presenta quindi una denuncia alla Procura di Milano per truffa e appropriazione indebita.
Nella denuncia, afferma che l’ex proprietaria del bar “ha beneficiato di parte delle cambiali poste come garanzia fiduciaria” e ha “mancato di restituire il deposito fiduciario a D.C.”. All’inizio di maggio, il barista chiede alla Procura di “bloccare le cambiali ancora non incassate di un valore approssimativo di 1400 euro ciascuna, messe come deposito fiduciario e non produttivo”. Da lì in poi, la situazione si trasforma in quello che Costa (il cognome del barista) descrive come “il mio incubo personale”.
La casella di posta si riempie di lettere raccomandate con atti di precetto allegate. “Ho pensato di mettere fine a tutto…” riflette con amarezza.
“Sono stato obbligato a protestare dalla mia compagnia per certi assegni che non dovevo saldare, e la mia abitazione è stata sequestrata. Data l’attuale circostanza, la banca afferma che non posso estendere le rate dal Confidi, l’organismo di garanzia, ma devo saldare subito.” Torniamo al mattino del 29 luglio.
“Sono in debito di gratitudine con gli agenti di polizia, allertati da Bocedi. Sono andato in tribunale per fare… una sciocchezza. Spero solo che una decisione sia presa quanto prima, non importa quale sia. Non mi aspetto che mi sia sempre data ragione, anche se ritengo di averla. Desidero solo che gli assegni vengano sequestrati per non perire prima che si decida se ho sbagliato, e che la giustizia non mi abbandoni in questo stato di angoscia in attesa di una decisione.
Ho anche scritto una lettera al giudice incaricato del mio caso, esprimendo la mia incertezza su quanto potrò resistere a questa attesa”.