Dopo cinque decenni in carcere, l’ex capo mafioso Renato Vallanzasca, 74 anni, affetto da una malattia neurodegenerativa, è stato liberato, poiché la sua prolungata detenzione stava exacerbando la sua condizioni.
Vallanzasca, precedentemente a capo della banda della Comasina e condannato a quattro ergastoli, avrà ora la possibilità di lasciare il carcere di Bollate, dove è stato detenuto per 52 anni, per ricevere cure in un’istituzione specializzata nell’aiutare coloro affetti da Alzheimer e demenza. Questa decisione è stata presa dal tribunale di sorveglianza di Milano in risposta alla richiesta di sospensione della pena presentata dai suoi legali, Corrado Limentani e Paolo Muzzi, in quanto Vallanzasca è afflitto da un grave declino cognitivo che la lunga detenzione stava peggiorando.
I suoi avvocati, con l’appoggio di medici, hanno insistito per mesi sul fatto che la detenzione carceraria era completamente inadeguata per la sua malattia. In giugno, il tribunale di sorveglianza si è mostrato per la prima volta aperto all’idea, concedendo permessi di 12 ore durante i quali Vallanzasca poteva frequentare una comunità per “lenire la sua condizione neurologica”. Da quel momento, l’obiettivo dei suoi legali era stato il trasferimento, che è ora stato raggiunto con l’approvazione della procura generale.
La sospensione della pena durerà due anni e potrà essere prorogata se necessario. Da quello che si è appreso, “il bel Renè” dovrebbe essere ammesso in un istituto sanitario nel Veneto nei prossimi giorni.
Il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha decretato che il rischio di ulteriori reati commessi da Renato Vallanzasca, noto come ex capo della banda della Comasina, è ora attenuato sotto l’ottica della pericolosità sociale. Questo è dovuto alle sue attuali condizioni di salute precarie e l’invecchiamento dei crimini per cui è stato condannato.
Il suo comportamento durante i “permessi premio” recentemente concessi ha anche contribuito a questa decisione. Di conseguenza, Vallanzasca sarà trasferito da un processo di detenzione a una residenza sanitaria assistita nel Padovano, convertendo così la sua custodia in un regime di detenzione domiciliare. I giudici affermano che la sua pericolosità sociale è ora gestibile e ridotta, viste le condizioni di salute incompatibili con la vita carceraria.