“Fin da piccola, non ero interessata solo alle bambole, ma trovavo divertimento nel montare le navicelle spaziali di Star Wars”, racconta Valentina Sumini, una donna di 38 anni che ha fatto della progettazione spaziale la sua professione, una carriera rara nel nostro paese.
Ha dedicato la sua ricerca allo studio di struttura che potrebbero rendere possibile la vita su corpi celesti diversi dalla Terra. Nata a Genova ma cresciuta ad Alessandria, Sumini è una figura poliedrica con una doppia laurea in Architettura e Ingegneria e un dottorato in Conservazione dei Beni Architettonici al Politecnico di Milano. Dal 2016 collabora con il Massachusetts Institute of Technology (MIT) negli Stati Uniti, dove attualmente è Research Affiliate presso il Mit Media Lab di Boston per il “Mit Space Exploration Initiative”.
A Milano, è visiting professor al Politecnico per il primo corso in Italia in collaborazione con il MIT “Architecture for Human Space Exploration”, mentre a Bologna collabora col gigante della robotica Coesia. Valentina Sumini sarà una delle relatrici al Festival Internazionale dell’Ingegneria, organizzato dal Politecnico di Milano. Sabato 14 settembre, dalle 16, discuterà con Chiara Cocchiara, senior innovation officer al Phi-lab dell’Esa, e Ingrid Paoletti, docente di tecnologia dell’architettura, riguardo a “Come abiteremo nello spazio”.
Si chiede quando il suo amore per gli altri pianeti è sbocciato, e lei risponde: “Mio padre, uno scienziato, è stata la mia prima ispirazione per la scienza. Tuttavia, durante il mio dottorato mi sono occupata di grattacieli, ma non mi bastava. La mia scommessa è stata progettare gli ambienti dove gli umani vivono al di fuori dell’orbita terrestre. Nel 2009, per il progetto Moorea con l’Alta Scuola Politecnica, ho progettato un hotel sulla Luna.”
Quali operazioni vengono eseguite al Mit Media Lab? “Oltre a una fervida ricerca teorica, vengono condotti esperimenti in contesti rilevanti, come i voli a Zero G su velivoli che eseguono rapide traiettorie oppure il lancio di test alla Stazione Spaziale Internazionale o sulla Luna, attraverso le missioni Artemis”.
Ci sono progetti a cui sei particolarmente legato? “C’è un progetto chiamato “Moon Village” che è stato realizzato in collaborazione con il Mit, l’Agenzia Spaziale Europea e lo studio di architettura Skidmore, Owings & Merrill, noto per la progettazione di grattacieli in tutto il mondo. Ha fatto il suo debutto alla Biennale di Venezia nel 2021 e ora si può vedere presso la Cité des Sciences et de l’Industrie a Parigi.
L’idea è di costruire un insediamento lunare sul bordo del cratere Shackleton con vista sulla Terra, alimentato quasi senza interruzioni dalla luce del sole, vicino a riserve di acqua congelata. Un habitat costituito da unità residenziali create con una struttura leggera e composita, che possono essere trasportate sulla navicella spaziale per essere pressurizzate sul posto. Potrebbero essere rivestite con gusci di regolite lunare (sedimento del livello superficiale) prodotti attraverso la stampa 3D”.
Quali sono le complicazioni nel progettare un sistema abitativo sulla Luna? “Affrontiamo problemi tecnici: in un ambiente a microgravità, la pressione interna diventa la principale preoccupazione per le strutture, quindi dobbiamo sviluppare metodi di progettazione computazionali per ottimizzare la struttura. Inoltre, l’elemento umano è particolarmente vulnerabile. Dal punto di vista fisiologico, non siamo adattati a vivere al di fuori dell’ecosistema terrestre.
Nella progettazione dello spazio, è fondamentale creare non solo edifici immobili, ma “macchine” in grado di fornire dati in tempo reale, assicurando un monitoraggio incessante per una costante comunicazione con l’utente umano.
Ciò richiede adattamenti; si hanno bisogno di strategie di design che allevino lo stress psicologico proveniente dall’isolamento e ristrettezza in tali ambienti ostili. La questione della conservazione è altrettanto importante. Non dovremmo ripetere lo stesso errore che abbiamo commesso con i satelliti, che ora sono semplici rifiuti orbitali che inquinano l’orbita terrestre bassa dopo che hanno cessato di funzionare. Malgrado le sfide presenti, l’epoca attuale è eccezionalmente favorevole per l’esplorazione.
Stiamo assistendo a una rinascita della corsa allo spazio. “Sì. Oltre agli enti statali, anche soggetti privati stanno investendo in missioni spaziali. Questo potrebbe un giorno permettere anche ai comuni cittadini, e non solo agli astronauti, di partecipare: stiamo parlando della democratizzazione dell’accesso allo spazio”.