Milano, 10 settembre 2024 – “Non ci fermeremo fino a che non avremo scoperto come e perché mio fratello è morto in prigione, in un posto dove non avrebbe dovuto essere”.
Queste le parole di Georg, che reclama “giustizia” dopo la scomparsa del fratello, Youssef Mokhtar Loka Barsom, tragicamente coinvolto in un incendio nella sua cella del carcere di San Vittore. L’incidente, che vedeva coinvolto un altro prigioniero ora sospettato di omicidio colposo, ha portato alla fine della vita di Youssef a soli 18 anni. Youssef era giunto in Italia dall’Egitto come minore non accompagnato, dopo aver sperimentato l’orrore di un campo di prigionia in Libia a soli 15 anni.
Secondo una relazione psichiatrica del Tribunale per i minorenni di Milano, presentata nell’ottobre 2023, Youssef avrebbe dovuto essere accolto in un “iter di recupero all’interno di una struttura specializzata in grado di fornire un alto livello di tutela e un rigido e costante monitoraggio, come un’attrezzata casa di cura”. La relazione, fattore chiave nel suo assolvimento dall’accusa di furto grazie all’incapacità totale di intendere e di volere, sottolineava la “necessità di un ambiente di cura altamente protetto che garantisca condizioni di cura integrate”, attraverso “un trattamento personalizzato e una adeguata terapia farmacologica”.
Youssef, un ragazzo “fragile” con una “completa incapacità di controllare impulsi potenzialmente dannosi per se stesso e per gli altri”. Tuttavia, dopo aver compiuto la maggiore età e un ulteriore furto a luglio, Youssef è finito tra le mura del carcere di San Vittore, in attesa di giudizio come molti altri detenuti.
Nonostante gli sforzi del suo avvocato di ottenere un trasferimento in un altro istituto, a causa delle sue condizioni mentali inadatte alla vita carceraria, il trasferimento non è avvenuto.
Non c’era spazio per lui nelle comunità, e così è finito in lista d’attesa. Nel frattempo, il procuratore Carlo Scalas ha avviato un’indagine, in attesa del resoconto dell’autopsia sul corpo bruciato, che è stata ordinata per determinare la causa della morte. “Mio fratello non si sarebbe mai suicidato”, afferma Georg Barsom, “non ha mai manifestato l’intenzione di farlo e era una persona che non aveva timore di esprimere i suoi pensieri.
Non riusciva a celare i suoi sentimenti. L’ho visto l’ultima volta a luglio e non stava bene, sia fisicamente che mentalmente. Una persona con i suoi problemi non avrebbe dovuto essere in prigione, ma in una comunità protetta, dove avrebbe potuto ricevere cure. Vogliamo risposte, e faremo tutto il possibile per far luce su ciò che è successo”. Youssef poteva contare solo sul suo fratello maggiore in Italia, che lavorava in un ristorante a Milano, dove viveva da 13 anni.
Hanno vissuto insieme per un certo periodo, fino a quando la situazione è diventata insostenibile. Youssef ha avuto a che fare con la legge, è entrato in comunità ed è fuggito, ha vissuto per le strade, fino alla fine tragica. Questo caso è stato seguito dai servizi sociali del Comune di Milano e anche dalle autorità sanitarie. Una valutazione del 2023 ha stabilito la “continuità di uno stato mentale grave caratterizzato da significative limitazioni nelle funzioni cognitive, emotive e sociali”, ed è stato pertanto preso un provvedimento di sicurezza a causa del pericolo sociale che rappresentava.
Dopo aver commesso l’ultima infrazione, Youssef è stato trasferito a San Vittore, luogo in cui ha tristemente trovato la morte.